IL VOSTRO SPAZIO
NEL MIO BLOG
rubrica letteraria e culturale, dal 19 marzo 2014
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Oggi presentiamo Elena Genero Santoro, autrice di tre romanzi pubblicati (UN ERRORE DI GIOVENTU', 0111 Edizioni - PERCHE' NE SONO INNAMORATA, Edizioni Montag - L'OCCASIONE DI UNA VITA - Lettere Animate Editore) e di tanti altri scritti ancora chiusi nel cassetto.
«I miei romanzi», ci racconta Elena, «definibili in prima battuta come “sentimentali”, sono pretesti per trattare temi sociali e di attualità, che spaziano dalla crisi allo sfruttamento del lavoro, dall’aborto alla pena di morte, dall’abbattimento delle barriere architettoniche all’abuso di psicofarmaci sui bambini, dall’anoressia al miraggio del successo televisivo facile.
Il mio obiettivo è quello di fondere ironia e riflessione, commedia e dramma».
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Elena Genero Santoro |
Elena si presenta
“Il mio vero nome è Elena Genero. Sono nata a Torino nel 1975. Ho scritto racconti, a momenti alterni della mia vita, da quando
avevo quattordici anni. Ho frequentato il liceo scientifico statale Ettore
Majorana di Moncalieri. Le mie materie preferite erano l’italiano, la
matematica, il disegno tecnico e la storia dell’arte. Ho colmato la mia voglia
di matematica, di disegno e di storia dell’arte laureandomi nel 2000 in
Ingegneria Edile al Politecnico di Torino. Continuo a colmare la mia voglia di letteratura leggendo dai
venti ai cinquanta libri di narrativa all’anno.
Attualmente lavoro presso il Centro Ricerche Fiat S.c.p.a. e
mi occupo di conformità tecnica dei prodotti alle normative europee in materia
ambientale. Sono coniugata (Santoro) e ho due bambini.
Ciao
Elena, è un piacere ospitarti nella mia rubrica. Per cominciare parlami un po’
di te. Com’è Elena Genero nella vita di tutti i giorni? Cosa fa quando non
scrive?
Ciao Irene, innanzitutto grazie mille a
te per questo spazio. Elena Genero nella vita di tutti i giorni è
essenzialmente una mamma che lavora, quindi una persona con i minuti
perennemente contati, a cui molti datori di lavoro (in ufficio come e a casa)
assegnano numerosi compiti. Ma Elena Genero è anche una persona felice, perché
quando sai che a casa ci sono due marmocchi sorridenti che ti abbracciano
quando arrivi, non puoi che sentirti realizzata. Infine Elena Genero è anche
una persona che viaggia parecchio per lavoro: dallo spostamento quotidiano
(spendo un’ora e mezza in macchina tra andare e tornare) alle trasferte
all’estero. In questi frangenti, che da un certo punto di vista sono stancanti,
trovo il tempo per meditare, per ascoltare musica, per starmene in pace con me
stessa e dare forma a ciò che intendo scrivere.
Dalla
tua biografia si capisce che hai un rapporto particolare con i libri e la
letteratura. Cosa ti piace leggere? C’è un autore in particolare che ti ha
ispirata o che ritieni sia sulla tua stessa lunghezza d’onda? Ti è capitato di
leggere recentemente il romanzo di un qualche autore esordiente/emergente che
ti ha colpita?
Ammetto che ho un rapporto intenso con i
libri. Mi piace definirmi una lettrice onnivora e feroce. In realtà non leggo
proprio tutto, non sono appassionata di horror e nemmeno di fantasy se sono
fini a se stessi. Stessa cosa per il romance puro, che magari presenta modelli
fuorvianti del rapporto di coppia. Mi piace il mainstream, mi piace ciò che mi
permette, in un modo nell’altro di rapportarmi con la mia realtà e di scoprire
anche cose nuove. Per questo vado matta per Perissinotto, per esempio, che è un
torinese come me e che ho avuto l’onore di conoscere a una sua presentazione, e
che, quando scrive, descrive un mondo che per certi versi conosco molto bene.
Mi piace Carofiglio, per il suo stile asciutto e senza fronzoli, diretto. Mi
piace Piperno, per il suo modo di inquadrare psicologicamente i personaggi, per
il suo vocabolario ricco ed esuberante, e per la sua capacità di condurre il
lettore dal riso al pianto con facilità, ridicolizzando e dissacrando ogni
situazione con un’ironia sottile. Adoro la Mazzantini, che sa scavare in
profondo nella mente dei suoi personaggi e inventare storie in effetti molto
particolari. Tra gli stranieri non mi perdo una pubblicazione della Holt,
giallista norvegese, nei cui personaggi mi ritrovo. Oltre a quelli che per me
sono “mostri sacri”, ultimamente ho dato parecchio spazio agli esordienti,
magari ai colleghi di casa editrice. Di recente ho apprezzato “Ho ucciso Bambi”
di Carla Cucchiarelli, edito da 0111: ben scritto, credibile, e con un finale
aperto alla speranza. Poi mi è capitato di scaricare da Amazon un romanzo
autopubblicato dal titolo “Omicidi in pausa pranzo”, di Viola Veloce. È la
storia, a metà tra il giallo e il comico, di un’impiegata trentaquattrenne che
trova una collega strangolata in bagno durante la pausa pranzo. È l’inizio di
una serie di omicidi che coinvolgono tutti gli impiegati dell’unità a cui la
protagonista appartiene, e mentre lei indaga, temendo di essere uccisa a sua
volta, i morti aumentano. È una favolosa parodia dell’azienda tipo in Italia, è
anche un libro di denuncia, e l’ho gradito al punto da contattare l’autrice per
esprimerle il mio apprezzamento. Beh, ci ho visto giusto, di recente Mondadori
le ha offerto un contratto, dunque sentiremo ancora parlare di lei.
Veniamo
a te e al tuo rapporto con la scrittura: quando hai sentito l’esigenza di
scrivere e perché? Cosa ti ha spinta poi a non tenere tutto chiuso nel cassetto
e a pubblicare i tuoi romanzi?
Come ti dicevo, scrivo da quando ero
ragazzina, ed essenzialmente la mia esigenza di scrittura nasce dalla “carenza”
di qualcosa. A quattordici anni mi mancava una vita mia, perché ero piccola e
non ce l’avevo ancora. Non avevo un fidanzato, le amicizie mi deludevano.
Quando ho ricominciato a scrivere, vent’anni dopo, con “Perché ne sono
innamorata”, sentivo l’esigenza di una bella storia d’amore (almeno secondo i
miei crismi), pulita, duratura, ma non melensa. Ero satura di tutto quello che
la televisione proponeva, delle serie infinite in cui tutti si prendono e si
lasciano, e ho deciso di creare una cosa che fosse tutta mia e che avesse il
finale che volevo io. Credo che scrivere sia un modo come un altro di costruire
un mondo parallelo in cui si è liberi di modificare la realtà a piacimento,
cosa che non si può fare normalmente, e senza fare danni a nessuno. Bisogna
solo stare attenti perché, nonostante tutto, a volte i personaggi cominciano a
vivere di vita propria e a sorprenderci inaspettatamente! Per cui no, gli
scrittori non sono onnipotenti nemmeno nel mondo che creano loro stessi!
Per rispondere alla tua domanda, cosa mi
ha spinto a pubblicare "Perché ne sono innamorata", posso dirti che sono stati
gli amici, che l’hanno letto, trovato gradevole, e mi hanno incentivata a
tentare la sorte in qualche casa editrice, ripetendomi che il mio lavoro era
all’altezza di poter essere divulgato.
Il primo romanzo, “Perché ne sono innamorata”, è uscito nel 2013 con Edizioni Montag. Ci racconti un po’ di
questa tua prima esperienza letteraria? Come è stato accolto il romanzo? Consiglieresti
a un editore esordiente di rivolgersi a Edizioni Montag?
Quando mi sono approcciata al mondo delle
case editrici, non sapevo nulla di nulla di nulla! Ho trovato Montag un po’ per caso, su un
blog che elencava il nome di alcune case editrici per esordienti. Ho scritto a
loro e a pochi altri; loro mi hanno formulato una proposta ed io ho accettato. Premetto che con
Montag mi sono trovata bene per molti versi: sono gentili, sono disponibili e
se ho domande, rispondono. L’altro aspetto positivo di una casa come Montag è
che non hanno preclusioni di genere, per cui sono aperti a ogni tipo di opera
che sia ben scritta e abbia appetibilità. Non solo consiglierei Montag per un
esordiente, anzi, l’ho pure fatto con un mio ex collega in pensione che ha il
mio stesso hobby. Il problema delle piccole case editrici, tutte o quasi, non
solo di Montag, è che non riescono a gestire la promozione del libro, che
ricade tutta sulle spalle dello scrittore. E lo scrittore deve ingegnarsi in
molti modi, per avere visibilità, per farsi conoscere, per fare delle presentazioni.
E quindi eccomi qua! Chi ha letto "Perché ne sono innamorata", finora lo ha
apprezzato. Ho ricevuto anche delle buone recensioni, da gente a me sconosciuta
che si è presa la briga di leggerlo (esempio: QLibri). È un romanzo che di
primo acchito pare una storia per ragazzine. In realtà “Perché ne sono
innamorata” è un romanzo quasi tutto al femminile e parla di innamoramento a
vent’anni, innamoramento che può essere vissuto come attaccamento morboso, o
come fenomeno che rischia di scombinare tutti i piani e scardinare le labili
certezze messe insieme fino a quel momento e di gettare, nel bene o nel male,
le basi per la vita adulta. Innamoramento che può aprire le porte ad
un’avventura meravigliosa e inaspettata, oppure che può costringere a scelte
impegnative, o, infine, che può condurre all’annullamento di sé e della propria
dignità quando la controparte è un ragazzo violento, arrogante e prepotente.
“Perché ne sono
innamorata” è la storia di un inizio, i protagonisti hanno appena intrapreso il
loro cammino (e cresceranno, in romanzi successivi, che già esistono), - anche il “cattivo” è un cattivo al primo
stadio, - ma già si intravede come tutti loro sceglieranno di vivere quando
giustificano le loro azioni dicendo: “Lo faccio perché ne sono innamorato”.
A
febbraio è uscito il tuo secondo libro “Un errore di gioventù”, edito dalla
0111 Edizioni. Come è stata la tua esperienza con questa Casa Editrice? Come ne
sei venuta a conoscenza?
0111 Edizioni mi è stata segnalata da
un’amica, Stefania Trapani, che aveva pubblicato un romanzo con loro (“Alla
fine dei sogni”) e si era trovata molto bene. Io non posso che confermare le
sue impressioni: sono precisi, puntuali, organizzatissimi, rispettano ogni
scadenza. Tra le piccole case editrici hanno una buona nomea. A loro ho riservato
“Un errore di gioventù”: sono gli unici a cui l’ho spedito, non avevo fretta ma
volevo loro, anche perché mi offrivano sia il cartaceo che l’ebook, e loro, per
mia fortuna, mi hanno detto di sì.
Scendiamo
nel dettaglio del romanzo. Lo hai voluto dedicare a “Eddie”, un uomo con il
quale per 8 anni hai instaurato una fitta corrispondenza diventando la sua
“amica di penna”. Nel 2010, condannato alla pena di morte, è stato ucciso. Ci
racconti di questa tua esperienza? Cosa ti ha insegnato?
A ventisette anni sono venuta a
conoscenza della Comunità di Sant’Egidio, che, come altre associazioni, tra cui
Nessuno Tocchi Caino e Amnesty International, lottano contro la pena di morte. Tra
le altre cose fornivano indirizzi di condannati nel braccio della morte e
allora mi sono detta “Perché no?” e me ne sono fatta dare uno, tutto sommato
con superficialità. Cioè, le mie intenzioni erano ottime, volevo fare qualcosa
di buono, ma non avevo la più pallida idea del casino in cui mi stavo
cacciando. Martin Eddie Grossman non era solo un’entità astratta, era una
persona vera, con un mare di problemi, per giunta. E quando ha iniziato a
scrivermi a sua volta, raccontandomi tutto ciò che gli stava accadendo, la
battaglia legale, la madre malata di Alzheimer, che poi è morta per un infarto,
i suoi problemi di salute, e altre disavventure famigliari, io ho temuto di non
potercela fare. Per alcuni mesi non ho avuto più il coraggio di scrivergli. Mi
sembrava che tutto ciò che succedeva a me fosse un’inezia. Ma poi mi sono sbloccata,
quando ho capito che Eddie in realtà non chiedeva consolazione, ma semplicemente
un contatto con il mondo, che diversamente gli era precluso. Eddie era una
persona gentile, estremamente cortese. Quando l’ho conosciuto io era già in
galera da, credo, diciotto anni, ed è stato ucciso otto anni dopo. Certamente
aveva avuto tutto il tempo di pentirsi e di meditare sui suoi errori, di
maturare. Comunque quello che ho conosciuto io non era un mostro, era una
persona normale e bisognosa di affetto.
Anche
nel tuo romanzo si parla, tra le altre vicende, di Luis, un detenuto che per “un
errore di gioventù” è condannato alla morte. Quanto della tua esperienza con
Eddie si rispecchia nella storia di Luis? Ci sono dei riferimenti reali? Se sì,
quali?
Il caso di Luis Crawford non è reale e
Luis Crawford non è mai esistito. Ciò che è realistico è il caso giudiziario,
un omicidio preterintenzionale commesso sotto effetto di stupefacenti, come per
Eddie, seppure con contorni diversi. Aggiungo che in alcuni stati, come
l’Alabama, si viene condannati a morte non solo per omicidio ma anche per
rapina e per stupro. E poi, ovviamente, Luis ha molto di Eddie, ma ha anche dei
tratti comuni con i due condannati con cui attualmente corrispondo. Intanto
Luis è nero: Eddie non lo era, ma apparteneva comunque a una minoranza (era un
ispanico convertito all’ebraismo), mentre i miei altri due amici sono pure neri.
E poi, a parte le somiglianze giudiziarie ed etniche, Luis è una persona
intelligente, che ama il mare, la buona cucina e le cartoline che gli inviano, che
ha bisogno degli amici, che si confronta quotidianamente con i suoi errori
precedenti e che teme ciò che lo aspetta. Eddie e gli altri due miei amici
erano e sono tutto questo: persone normali, nonostante tutto, che chiedono, per
quanto possibile normalità e rispetto.
Parlando
di Luis, hai voluto in qualche modo “denunciare” le condizioni in cui vivono i
detenuti condannati a morte. Quale messaggio vuoi dare?
Un esempio per iniziare: nel braccio
della morte i pasti sono serviti alle ore 4 del mattino, 10 del mattino e
14,30. Dopodiché buonanotte a tutti, la giornata è finita. I pasti sono di
qualità pessima, per aiutare i condannati bisogna inviare loro dei bonifici,
cosicché essi possano acquistare cibo migliore e prodotti per l’igiene
personale. Le estati sono torride e gli inverni sono gelidi. Insomma, si campa
male. C’è chi afferma che i detenuti di un certo tipo in America siano un
affare per fare business, per guadagnare soldi sfruttando il loro lavoro.
Dunque la giustizia nella condanna a morte c’entrerebbe proprio poco, e questa
è la ragione per cui vengono condannati solo i più poveri e indifesi. Se la
pena di morte sia realmente un business io non lo posso provare, ma so che i
prigionieri non hanno vita facile, dovendosi confrontare perennemente con
un’esistenza grama e con la convinzione che viene loro instillata di essere dei
mostri e di meritare un trattamento che si riserverebbe solo ai mostri. E la
prospettiva, per un condannato a morte, è ancora più spaventosa. Nonostante
ciò, un condannato vuole comunque vivere. Nel libro affido a Mac, un attore di
discreto successo, la parte dello scettico, di quello che, pur non approvando
la pena capitale in linea di principio, ritiene comunque che chi subisce quel
trattamento in fondo se lo sia meritato. Mac avrà un percorso che lo porterà a
ricredersi completamente e capirà che anche un assassino è pur sempre un essere
umano, e merita rispetto, a prescindere da chi è e da cosa ha fatto. In questi
giorni ricorre il terzo anno dalla morte di Vittorio Arrigoni. Mi piace in
questo frangente citare la sua frase più celebre: “Restiamo umani”.
Accanto
alla storia di Luis si intrecciano altre storie: ci riassumi brevemente il
profilo dei vari personaggi? Cosa hanno in comune tra di loro? Alla fine, la
domanda che tutti si pongono mi sembra sia: “E’ giusto che un errore di
gioventù presenti il conto dopo tantissimi anni, quando le persone sono
cambiate?”.
È un libro di “mostri”, o di quelli che
la gente ritiene solitamente tali. C’è Teresa, una ex transessuale, ormai
legalmente donna, che cerca rivalsa verso la sua famiglia che l’ha sempre
osteggiata nel suo percorso di adeguamento del sesso. Lei va contro tutto ciò
che una normale famiglia borghese e bigotta può volere dal proprio figlio, e
per lei la femminilità corporea è un punto di arrivo, anziché di partenza. E
Teresa si insinua nella vita di Manuela e Giovanni, coppia in via di
rocambolesca separazione.
Poi c’è Patrick, marito di Futura, al
quale sta per nascere la seconda figlia. Si sente felice, realizzato e padrone
della sua vita quando una sua vecchia fiamma si ripresenta alla sua porta
affermando di avere una figlia adolescente che potrebbe essere sua. A quel
punto gli crolla il mondo addosso, anche perché non ha il coraggio di parlarne
con sua moglie temendo un rialzo della pressione a fine gravidanza. E,
soprattutto, si arrabbia, perché nella vita lui è sempre stato un maniaco del
controllo e un marito fedele fino alla nausea, per cui non ora non si
rispecchia più nell’adolescente sconsiderato che ha avuto un rapporto non
protetto dopo aver alzato troppo il gomito. Dunque è giusto che paghi adesso
per un errore commesso quando era una persona diversa? E mentre lui si
colpevolizza, il suo amico Mac, l’attore, gli fa presente che: “A diciotto anni
si commettono ‘ca**ate’ e le ‘ca**ate’ possono avere delle conseguenze. Se sei
fortunato, no.”
Inoltre, Patrick e Futura sono gli amici
di penna di Luis che incentivano Mac a occuparsi del suo caso. Futura poi, alle
prese con la gravidanza e con il parto, propone delle riflessioni sulla
maternità. Infine, per stemperare un po’ il tutto, c’è Iago, il fratello minore
di Futura, alle prese con un altro simpatico “mostro”: un’ossessionante
fidanzata gelosa.
Come
è stato accolto “Un errore di gioventù” dal pubblico? Tu sei soddisfatta?
Diciamo che tutti quelli che avevano
letto “Perché ne sono innamorata” mi hanno immediatamente chiesto quest’altro
libro! E poi si sono accorti che è molto diverso. Meno rivolto a un pubblico
femminile e anche meno sentimentale. Per il resto, sono appena all’inizio con
la campagna di promozione, ma l’argomento trattato ha incuriosito diverse
persone e enti, tra cui le stesse associazioni che si occupano della pena di
morte. La Comunità di Sant’Egidio ha già scritto un articolo su di me. Altri
articoli e recensioni dovrebbero uscire prossimamente. Staremo a vedere.
Il
tuo ultimo lavoro, fresco fresco d’aprile, è un ebook, “L’occasione di una vita” (Lettere Animate Editore). Vuoi parlarcene un po’?
Il mio ultimo lavoro in realtà è il
secondo, è il seguito diretto di "Perché ne sono innamorata", ed è ancora
pienamente appartenente al filone sentimentale rivolto prevalentemente a un
pubblico femminile. Per le varie vicissitudini editoriali, il contratto per questo
libro mi è arrivato dopo quello di "Un errore di gioventù", che, per dirla tutta,
è il mio nono libro della mia saga su Futura e Patrick (poi nel cassetto c’è un
altro romanzo che non li riguarda).
L’occasione di una vita è stato scritto
mentre aspettavo il mio secondo bambino e parla di aborto, o meglio, di una
gravidanza indesiderata e terminata prematuramente in modo spontaneo! D’altronde,
si può parlare solo di ciò che si conosce molto bene o di ciò che si teme, ed
io cosa temevo più di ogni altra cosa mentre ero incinta? Comunque, Futura e
Patrick, all’inizio della loro convivenza a Londra, si trovano alle prese con
una gravidanza arrivata per caso. Lei ne è impaurita, ma non vede ragioni per
interromperla, lui invece, pur non volendo fare pressioni esplicite, non riesce
a nascondere il suo disagio. Insomma, Patrick non se la sente di diventare
padre e non vuole nemmeno affrontare il discorso. Tra i due fidanzati cade il
gelo, finché Patrick non assiste alla prima ecografia e in quel momento ha una
specie di rivelazione. Vedere quell’esserino lungo pochi centimetri e già
perfettamente formato lo sconvolge e gli fa cambiare il suo punto di vista. Purtroppo,
mentre lui riflette, Futura perde il bambino. È l’inizio di una catena di
equivoci che porta lei a scappare in Irlanda insieme a un amico e lui a
inseguirla in cerca di un chiarimento.
Nel frattempo, in Italia, Ljuda, madre
disperata di due bambini piccoli, non trova di meglio da fare che farsi
selezionare per il Reality Più Famoso d’Italia e Manuela rivoluziona la Casa di
Accoglienza che Massimo, marito di Ljuda, gestisce per aiutare le donne in
difficoltà.
In questo mio libro il tema della
violenza sulle donne è ancora portato in ballo in modo collaterale, raccontando
le storie delle ragazze che popolano la Casa di Massimo. La Casa di Accoglienza
citata non esiste, ma le sue attività e le sue storie sono ispirate a quelle
della Casa degli Amici di Lazzaro di Torino, che accoglie madri in difficoltà e
donne strappate dalla strada.
La parte più ironica e divertente, ma
anche amara, di questo romanzo riguarda le tragicomiche avventure di Ljuda
rinchiusa nella Casa del Reality. Durante la mia prima gravidanza ho smaltito
la mia depressione post parto allattando davanti al Grande Fratello (ebbenesì,
lo confesso). È un’esperienza che non ripeterò mai più, ma mi ha insegnato
quanto i Reality siano fosse dei leoni e quale esercizio crudele possa
diventare per i partecipanti. Di questo ho voluto raccontare in questa
storyline minore.
Ma tornando a Futura e Patrick, posso
ancora aggiungere due cose. Il loro viaggio in Irlanda è lo stesso che ho fatto
io, in tutte altre condizioni psicologiche, per fortuna, anni fa con mio
marito. Quindi tutti i luoghi descritti sono stati da me visitati. Per quanto
riguarda il tema dell’aborto, invece, ci tengo a sottolineare che ho cercato di
rispettare tutti i possibili punti di vista, sapendo che si tratta di un tema
estremamente delicato. Peraltro, lo sconvolgimento di Patrick davanti
all’ecografia, è lo stesso che hanno provato altri uomini (realmente esistenti)
quando all’ottava settimana hanno visto per la prima volta il cuoricino
pulsante del loro bambino. Sto parlando di uomini che conosco e che, prima,
sulle interruzioni di gravidanza non avevano mai avuto un parere né in un senso
né nell’altro. Nonostante ciò sono rimasti folgorati. Perciò mi sono permessa
di attribuire gli stessi sentimenti a Patrick, il quale comunque rifiutava
inizialmente la gravidanza per una paura sua e non per motivi di difficoltà
economica o di impossibilità pratica.
Hai
intenzione di pubblicare anche gli altri otto romanzi che hai scritto? O ci
sono nuovi progetti in vista?
Intanto continuo a scrivere! È la cosa
che preferisco. Sugli altri otto ancora non so. Potrei anche non pubblicarli
affatto, vediamo che seguito avranno questi. Diversamente, chi vuole leggermi a
tutti i costi sa dove trovarmi.
Grazie
Elena, credo che la tua esperienza debba far riflettere tutti. Buona scrittura
Ma grazie a te!
*(La biografia è stata fornita dall'autore)
*INTERVISTA A CURA DI IRENE PAMPANIN E DESTINATA IN VIA ESCLUSIVA ALLA RUBRICA TACUìN. E' VIETATA OGNI RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE, DELLA STESSA.
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