Alba dalla Tofana di Mezzo

"Galoppa, fuggi, galoppa, superstite fantasia. Avido di sterminarti, il mondo civile ti incalza alle calcagna, mai più ti darà pace". D.Buzzati

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venerdì 13 dicembre 2013

Racconto: "Salta e raggiungimi" di Irene Pampanin

Una persona che ha letto di recente il mio libro , mi ha detto di essere rimasta particolarmente colpita dal racconto "Salta e raggiungimi" (o "Il ragazzo con la molla"). 
Allora oggi vi propongo proprio questo ... 

tratto dal libro 


 
SALTA E RAGGIUNGIMI


Tanto tempo fa, quando ancora l’altra metà del mondo non era stata scoperta, esisteva un luogo dove gli uomini camminavano soltanto a piedi nudi.
Era un villaggio costruito sopra a enormi scogliere, pavimentato quasi completamente con tappeti blu o sabbia bianca portata dal vento.
Il sole batteva sempre forte sopra alle piccole case di foglie di palma. Tutti indossavano solamente un lungo velo avvolto attorno al corpo e qualche collana di perle di conchiglia.
Non si può dire che la vita non fosse tranquilla: l’acqua arrivava grazie a un fiumiciattolo che sgorgava da non si sa dove, il cibo cresceva in natura più che mai, il giorno e la notte si rincorrevano regolarmente e non accadeva mai nulla di strano.
Finché un giorno una delle donne più belle del villaggio diede alla luce una delle creature più terribili che la popolazione avesse mai visto.
Nessuno dei presenti capiva come il neonato potesse vivere, dato che non aveva cuore né polmoni. Al centro del corpo aveva una sorta di spirale bianca, elastica, che girava su se stessa e che non poteva contenere nulla.
A quella strana spirale stavano legate le braccia, le gambe e la testa del bambino.
Inorriditi, molti si rifiutarono di credere che quello fosse davvero un essere umano, altri lo definirono il figlio del demonio, i più colti cercarono di appropriarsene per farne una cavia per i loro studi.
La bella e giovane donna prese il piccolo con sé, nascondendolo agli occhi dei curiosi e dandogli tutto l’affetto che una madre può dare al proprio figlio.
Gli diede il nome di Bashir ma nel villaggio tutti lo conoscevano come “il bambino con la molla” al posto del busto, una maledizione che, secondo le credenze popolari, gli era stato affibbiata da qualcuno che viveva oltre le scogliere.
Il piccolo fu costretto a crescere lontano da tutto e da tutti, disprezzato, deriso ma a volte anche temuto. Non poteva indossare il velo del popolo perché finiva sempre per incastrarsi nella spirale della sua pancia, quindi la madre gli cucì un paio di maniche verdi e un paio di pantaloni scuri, che furono però motivo di altre prese in giro da parte degli altri ragazzi.
La molla di Bashir cresceva con lui. Diventava più forte, più elastica ma anche più pesante. I piedi cominciarono a fargli male e per lui camminare diventò sempre più difficile.
Gli altri ragazzi lo spintonavano, si divertivano a vederlo ballonzolare da una parte all’altra o a farlo rotolare fino ai confini della scogliera.
In una delle sue numerose cadute, Bashir finì con la testa molto più avanti di quanto non fossero finite le sue gambe. I suoi occhi erano oltre il confine. Vedeva al di là della scogliera qualcosa d’azzurro…
Ma da lontano il suono della voce della madre che lo cercava disperatamente lo ricondusse alla realtà e a fatica tornò a casa, incuriosito dalla strana visione.
«Mamma» le chiese, «cosa c’è oltre la scogliera? Perché nessuno ci va mai?»
«Bashir, nessuno lo sa che cosa c’è. I saggi del villaggio raccontano di esseri malvagi, mostri, bizzarri animali. Si sente ogni tanto uno strano rumore, ma nessuno osa andare a vedere.»
«Non capisco perché le persone abbiano così paura delle cose che non conoscono. Basterebbe solo avvicinarsi un po’ e…»
«No! L’idea non ti deve nemmeno sfiorare. È vero, la gente ha paura di quel che non vede ma ricorda che le scogliere sono rocce appuntite, pericolose, selvagge… nessuno vi si avvicina, i piedi scalzi si ferirebbero e nessuno riuscirebbe a correre per fuggire…»
«Fuggire da cosa?»
“Da quell’enorme mostro che vive al di là del confine, che quando il vento ulula grida più forte, pronto a uccidere chiunque…»
Bashir pensò per giorni a quelle parole. Cominciò a sentirsi come quella bestia azzurra che aveva intravisto, abbandonata, incompresa, figlia del male.
Non avendo nulla da perdere, decise di andare a vedere che cosa c’era al di là del mondo conosciuto.
Una notte di luna piena si avvicinò cauto al confine. Sentiva il rumore del “mostro” che riposava. Cercò di vedere oltre… niente, solo il buio. Avrebbe voluto allungarsi di più, andare in alto quanto il cielo per poter guardare giù.
D’un tratto qualcosa attirò la sua attenzione. Gli parve quasi che la luna avesse gli occhi su di lui. E non si sbagliava. Lei lo fissava, amorevole, bellissima e pura. Sorrise. I suoi occhi erano i laghi della tranquillità. Bashir pensò fosse frutto della sua immaginazione. E chissà, forse lo era. Forse era il frutto del desiderio del cuore che non aveva.
«Tu devi essere il ragazzo con la molla» disse la meravigliosa perla bianca.
«Io… io sì, ma…»
«Cosa fai solo nella notte?»
«Ecco, io… volevo vedere cosa c’è oltre il confine, ma… non ci riesco, non ci arrivo.»
«Ma come, non ci arrivi?»
«Non mi posso avvicinare, questa molla pesa troppo… mi farei male a camminare fino alla fine degli scogli.»
La luna sorrise di amore materno…
«Bashir, perché non provi a volerti bene?»
Il ragazzo la guardò con aria interrogativa. «Ma non lo vedi come sono?! Non sono niente, sono uno sbaglio della natura, come posso volermi bene se nemmeno gli altri me ne vogliono?»
«Tu devi essere il primo a fare un passo verso di te e poi gli altri ti seguiranno. Guarda quelle che credi siano le tue debolezze e usale come punti di forza, solo così potrai vedere al di là del confine, e solo così riuscirai a dimostrare anche agli altri ciò che tu sei.»
«Come? Come faccio?» urlò Bashir quasi disperato.
«Punta in alto, perché tu puoi più di quel che credi. Salta e raggiungimi…»
Una nuvola portò via il dolce viso bianco e il ragazzo rimase a fissare il cielo confuso.
“Salta e raggiungimi” …ma che voleva dire?

Un po’ sconfortato cominciò a saltellare sentendosi anche un po’ ridicolo.
Ma più saltava più la molla del suo corpo si allungava e più il suo capo andava in alto!
Cominciò a saltare più in alto, sempre più in alto. Che strano, nessuno gli aveva mai insegnato a saltare verso l’alto… o forse nessuno credeva che un ragazzo così “strano” potesse puntare al cielo.
Le sue gambe rimasero vicine al terreno, ma la sua testa e le braccia si innalzarono oltre il confine spinte dalla molla che obbediva ai suoi comandi.
Fu così che i suoi occhi andarono oltre gli scogli e vide l’azzurro dormire: non era un animale e nemmeno un mostro, ma un’enorme distesa d’acqua blu che infrangendosi sulla sabbia cantava il rumore dell’orizzonte. Il ragazzo rimase a fissare quell’incanto, con i piedi piantati nel villaggio, il busto a molla che attraversava gli scogli e la testa sul mare.
Ormai era quasi l’alba quando uno degli abitanti del villaggio si accorse che “il ragazzo molla” si era allungato oltre il confine ed era arrivato dove nessuno aveva mai osato camminare. Svegliò tutta la popolazione, la madre di Bashir corse preoccupata verso il figlio. Lui, sorpreso di tutte quelle improvvise attenzioni, si ricompose di nuovo in se stesso e si voltò verso la folla che per la prima volta guardò la sua molla come qualcosa di magico e sensazionale.
«Ragazzo» disse un anziano. «Che cosa hai visto laggiù?»
«Ho visto un gigante buono, una distesa di tranquillità e, oltre l’acqua infinita, ho visto una terra sconosciuta. Il mondo continua e…»
«Impossibile!» gridò un uomo tra la folla. «Non c’è altro oltre noi! E poi, come facciamo a fidarci di quel che dici? Noi non abbiamo nessuna prova.»
Bashir non aveva un cuore visibile agli occhi della gente, era diverso, eppure aveva più amore di chiunque altro. Si mise a raccogliere tanti pezzetti di legno e con dello spago creò tanti fiocchi. Poi chiamò a se quell’uomo che non credeva a nulla e legò sotto i suoi piedi il legno con gli spaghi.
«Ora non ti faranno male i piedi» disse. «Seguimi e ti mostrerò quello che ho visto io.»
I due si incamminarono lungo la scogliera, oltre il confine. Alla fine delle rocce l’uomo vide il mare e oltre il mare una terra immensa. Incantato dallo spettacolo e preso dallo stupore tornò al villaggio correndo, gridando come un bambino che avesse appena scoperto l’esistenza dell’arcobaleno. Tutti si costruirono delle “scarpe” di legno per andare a vedere l’azzurro che dorme e l’altra parte del mondo. La molla di Bashir da allora non venne mai più considerata il male della natura, ma un dono che gli era stato fatto perché potesse rivelare agli altri quello che non riuscivano a vedere da soli. Quella molla che tanto odiava era il modo che Natura aveva scelto per innalzarlo al cielo. Non a caso, infatti, Bashir scoprì l’altra parte del mondo mentre cercava di raggiungere con un salto la luna.


“L'essenziale è invisibile agli occhi.”
da "Il piccolo principe" di Antoine de Saint Exuperie 


Irene P.

domenica 8 dicembre 2013

Racconto: "La favola delle stelle cadenti" di Irene Pampanin

tratto dal libro 



Vi  era un tempo in cui la terra era popolata da tutti gli astri dell’universo. Non  esisteva il giorno e nemmeno  la notte, c’erano pianeti, gnomi e fate, le stelle crescevano come fiori nei cieli immensi di quel mondo perduto.
Da qualche parte, tra i prati infiniti, alcuni uomini vivevano serenamente la propria esistenza priva di infelicità.
Un unico sovrano regnava incontrastato sopra ogni cosa: lo chiamavano tutti il re Blu ed era un cielo. Cieli ve ne erano tanti ma solo lui era così grande da riuscire a coprire tutta la superficie della terra.
Blu amava rifugiarsi da solo nel punto più alto della terra ma nonostante questo, qualcuno andava spesso a fargli visita. Le rocce riuscivano a parlare con lui e le montagne più alte arrivavano addirittura a guardarlo negli occhi.
Erano amici, Blu e le montagne, tanto che un giorno le soavi pietre d’eternità lo invitarono a scendere giù, a guardare più da vicino quello che era anche il suo mondo. Il re dapprima oppose resistenza ma loro lo presero per mano e lo trascinarono dolcemente più giù …
Blu rimase sorpreso nel vedere quante cose dall’alto non era mai riuscito a vedere. Sopra i tavoli le persone tenevano vasi con mazzi di stelle, sotto i funghi alcuni gnomi giocavano a nascondino, le fate lanciavano la loro polvere e dove essa si posava nasceva una stella.
Il re rimase affascinato da quelle piccole luci, ma ecco che all’improvviso qualcosa di meraviglioso si alzò davanti ai suoi occhi: era una fanciulla vestita di bianco, tra le mani teneva una manciata di quelle stelle che le illuminavano il viso come fosse una perla rara perduta in fondo al mare. I dolci lineamenti di lei accarezzavano ogni cosa che sfioravano e Blu era ormai perso nella luce  di quella ragazza con due laghi al posto degli occhi!
Nessuno sa quanto il re rimase a fissare quella fanciulla con le stelle, forse minuti, forse giorni, forse anni. Luna era il suo nome, una nuvola la sua casa.

Ma ecco che un giorno Luna non arrivò da sola. Vicino a lei qualcosa splendeva d’amore.
Sole le camminava accanto; da quando l’aveva incontrata era diventata la ragione per continuare a brillare. Sì, lui brillava per lei e il suo amore lo scriveva in tutti i cieli e lo raccontava a tutti i mari e tutti sapevano, tutti dovevano sapere che loro erano legati per un tempo che oggi si chiamerebbe “eterno”.

Blu sentì un sentimento di rabbia sconosciuto uscire dal suo cuore. Una saetta gli attraversò la pelle andando a schiantarsi su un albero vicino. Le montagne preoccupate si avvicinarono al re che in preda alla confusione chiese spiegazioni su quel che aveva appena visto. La roccia più coraggiosa cominciò a raccontare che Luna da anni partiva col suo cesto per andare a stelle. Ne raccoglieva tante perché quelle luci erano figlie delle fate e per questo contenevano un po’ della loro magia.
Un giorno si scontrò con Sole. Anche lui andava a stelle. Dal loro scontro nacque qualcosa che nessuno dei due aveva mai provato, qualcosa di così speciale da non poter essere mai più distrutto! Allora lo chiamarono “Amore”. Da quel giorno in poi, chiunque voleva sapere che cos’era “Amore”, doveva guardare loro, Sole e Luna: lei che non brillava senza lui, lui che non viveva senza lei. Loro che insieme spargevano Amore su qualsiasi cosa toccavano.
Blu zittì la roccia e d’improvviso si scatenò in lui una furia sconosciuta.
La sua ira tuonò nel cielo, fulmini e saette cominciarono a colpire ogni angolo della terra, un diluvio di acqua si scatenò per la prima volta sul mondo!
E fu il caos …
Seminò terrore, paura, rabbia. Scaraventò tutti gli astri fuori dalla terra, le fate fuggirono impaurite in un regno sconosciuto, gli gnomi scomparvero alla vista di chiunque. Solo gli uomini resistettero alla terribile furia del cielo.
Il re reso cieco dall’amore per quella fanciulla decise che lei e Sole non si sarebbero dovuti incontrare mai più. La strappò via da lui con tutte le sue stelle e la esiliò dalla parte opposta della terra! Vennero così il giorno e la notte, Sole e Luna destinati a inseguirsi per sempre senza incontrarsi mai.
Blu mise fine ad Amore o almeno così credeva …
Quando la sua ira si placò si accorse di avere cancellato parte del suo mondo: ora nemmeno le montagne osavano più toccarlo.
Raccolse le ultime stelle e le portò via con sé. Raccolse le lacrime di Luna e le lasciò ricadere piano. Per la prima volta nevicò.
Decise di salire su, più in alto e più lontano possibile, dove non poteva ferire con le sue mani, pentito per sempre di quel che aveva fatto.
Quando per la prima volta calò la notte, lanciò le stelle verso il mondo come fossero una richiesta di perdono ma le dolci luci si fermarono a mezz’aria, incapaci di tornare su una terra che da quel momento in poi sarebbe stata condannata alla distruzione.
E così fu … Sempre più uomini cominciarono a popolare la terra e sentimenti di rabbia, egoismo e violenza cominciarono a farsi strada tra la gente, fino al giorno d’oggi.
Ma l’amore no, non finì …

Sole e Luna si amano e amano ancora.
I sogni delle persone non sono altro che nuvole che salgono piano sopra le montagne, l’unico posto in cui possono essere liberi. E da lì  salgono più su, fino a Sole, fino a Luna … Ogni qualvolta uno dei due ascolta un desiderio, prende una stella dal suo cesto e la lancia nel cielo per farla arrivare fino alle mani dell’altro, per dirgli che ancora qualcuno ama e che allora il loro Amore non è mai andato perso.
Anche Blu è stato perdonato. Il re prima della notte si fa da parte e permette a Luna e Sole di incontrarsi un istante. Il tramonto non è altro che un loro bacio, le stelle cadenti dei fiori appartenuti a un mondo perduto di milioni d’anni fa, che Luna lancia al suo Sole e che il cielo si occupa di spargere sulla terra per ricordare a tutti che lassù ancora vive Amore.

Irene P.

mercoledì 4 dicembre 2013

Racconto: "Lo sguardo celeste" di Irene Pampanin

tratto dal libro 
... Guardando le stelle, cercando di non perdersi ...
 
Una "io" da piccola

 

LO SGUARDO CELESTE



La porta era aperta. Guardai all’interno della stanza.
 Ai miei occhi di bambina tutto appariva enorme. L’armadio sembrava un vecchio gigante addormentato e il letto quasi pareva voler uscire oltre le pareti. Le coperte erano caldi ammassi di lana colorata e la finestra lasciava entrare tutta la luce delle montagne.
LEI era lì, sdraiata con la schiena appoggiata sul cuscino e le braccia incrociate sull’orlo delle lenzuola. Sapevo che non poteva muoversi ma nessuno mi aveva mai spiegato il perché. Mi avvicinai ancora di più all’ingresso della grande camera.
Qualcuno parlava ai piedi del suo letto. LEI ascoltava con gli occhi fissi su di loro, eppure il suo sguardo celeste pareva non vedere nulla …  

Lo ricordo ancora quel tardo pomeriggio. La mamma aveva il grembiule rosso, mio fratello giocava accanto a me sulla panca. Le tende impedivano all’inverno di entrare oltre i vetri trasparenti … Sul fuoco c’era il profumo del sugo che cuoceva e un dolce calore mi avvolgeva mentre disegnavo scarabocchi con un pennarello rosa. Un improvviso rumore di passi destò la mia attenzione. Le case di montagna sono così, sulle scale di legno rimbalza ogni rumore. Mi fiondai alla porta della cucina, curiosa di sapere chi era. Cominciai a saltare per raggiungere la maniglia, troppo alta per me. Quando finalmente la porta si aprì, il mio viso si accese in un sorriso. LEI stava salendo, gradino per gradino, con un giocattolo tra le mani, lentamente, appoggiandosi al corrimano per aiutarsi …

«Quanto ti voleva bene a te», mi disse la mamma, « alcune volte prendeva i tuoi giocattoli di nascosto e li portava a casa sua. Così aveva la scusa per tornare da te a restituirteli».
«Ti ha cresciuta LEI», aggiunse “la Piera”, «non mangiavi niente. Dovevamo fare il giro della casa per darti un tortellino! E’ riuscita a tirarti su con il formaggio, solo quello volevi. Era così buona quella donna…».

Era quasi mezzogiorno. Sapevo che la porta del piano di sotto per me era sempre aperta. Entrai piano, sbirciando con timidezza. Dalla cima delle scale la voce della mamma mi fece sobbalzare.
«Irene! », mi riproverò, « non andare a “smangiucchiare” adesso che poi non pranzi più». «Sì» risposi con aria innocente sperando di apparire abbastanza convincente.
Nel frattempo aprii di più la porta, il nonno era seduto sulla panca e mi fece cenno di entrare.
LEI stava scolando la pasta. Credevo mettesse qualcosa di magico nel sugo per renderlo così buono e profumato. Così ogni volta che era ora di mangiare, andavo nella loro cucina per respirare quell’odore … Mentre ero accanto alla sedia più alta di me, LEI mi si avvicinò. Aveva in mano un piatto pieno di quella pastasciutta magica. Con dolcezza si inginocchiò davanti a me porgendomi il piatto.
«Tieni, mangia un po’…» mi disse con gentilezza.
Io non vedevo l’ora di assaggiare quella pasta speciale …

«La nonna metteva sempre la ricotta affumicata sopra la pastasciutta» mi disse un giorno il papà. “Ecco cosa dava quel sapore magico e diverso” pensai tra me e me.

Finalmente era l’ora di partire per il mare. Era tutto pronto, il mio zainetto con i giocattoli, le bambole e i fogli per disegnare. Ero quasi schiacciata sul sedile posteriore della macchina a causa delle valigie ma almeno potevo tenere il viso incollato al finestrino, pronta a scorgere il mare appena sarebbe spuntato. Il papà mise in moto la macchina. I nonni stavano sulle scale pronti a salutarci, uno accanto all’altro. Quando la mamma salì in macchina per ultima, io cominciai a salutare forte con la mia piccola manina. L’auto partì piano e man mano che ci allontanavamo i loro occhi si riempivano di commozione. LEI  tirò fuori un fazzoletto bianco e si asciugò lo sguardo celeste …
Forse sapeva che sarebbero stati più di 15 giorni a tenerci lontani …

«Sei uguale a lei», mi dicevano tutti, «Stessi occhi celesti, stesse espressioni. Sai, la chiamavano popa¹  perché aveva il viso da bambolina e tutti le facevano la corte». «E anche tu “sempre con sto caffè”, come tua nonna!» aggiunse il papà.

Saltavo allegra sul marciapiede tornando verso casa. “La Piera” mi teneva per mano mentre mangiavo un cono gelato che mi si stava sciogliendo addosso per il caldo, nonostante fosse sera. Mio fratello era poco più dietro di noi e la mamma si era allontanata per telefonare al papà. Si sentiva il profumo del mare e il cielo era sereno come non mai. Finita la telefonata, per un istante, io e mio fratello restammo soli. Poi “la Piera”  tornò da me…
 «Sai Irene», mi disse, «quando tornerai su a casa non la troverai più la tua nonna».
 «E perché?» chiesi io con gli occhi sgranati.
«E’ andata via e non tornerà più»
«Ma dove è andata?»
«E’ andata in cielo, è diventata una stella. Se guardi bene la vedi … »
Con l’ingenuità che solo una bimba di quattro anni poteva avere, arrivai a casa e subito andai nella cameretta. Appoggiandomi al davanzale, guardai verso il cielo … C’erano tante stelle ed ero sicura che in mezzo a loro c’era anche LEI. Osservai con attenzione e finalmente vidi comparire una stella luminosissima. “Eccola è LEI” pensai.
«Ciao NONNA» sussurrai sottovoce e cominciai a salutare forte con la mia piccola manina ..


Note
¹Popa: termine dialettale ladino che è sinonimo di “bambola” “bimba”


Irene P.