Venite ad ascoltarci ...
"Galoppa, fuggi, galoppa, superstite fantasia. Avido di sterminarti, il mondo civile ti incalza alle calcagna, mai più ti darà pace". D.Buzzati
Pagine
Cerca nel blog
mercoledì 25 dicembre 2013
lunedì 23 dicembre 2013
da "Rifugio Settimo Cielo" di Irene Pampanin
Poesia tratta da
Spegnerò il sole per vederti
e
rovescerò il cielo per cercarti, Stella!
Irene P.
venerdì 13 dicembre 2013
Racconto: "Salta e raggiungimi" di Irene Pampanin
Una persona che ha letto di recente il mio libro , mi ha detto di essere rimasta particolarmente colpita dal racconto "Salta e raggiungimi" (o "Il ragazzo con la molla").
Allora oggi vi propongo proprio questo ...
tratto dal libro
SALTA E RAGGIUNGIMI
Tanto tempo fa, quando ancora
l’altra metà del mondo non era stata scoperta, esisteva un luogo dove gli
uomini camminavano soltanto a piedi nudi.
Era un villaggio costruito sopra a
enormi scogliere, pavimentato quasi completamente con tappeti blu o sabbia
bianca portata dal vento.
Il sole batteva sempre forte sopra
alle piccole case di foglie di palma. Tutti indossavano solamente un lungo velo
avvolto attorno al corpo e qualche collana di perle di conchiglia.
Non si può dire che la vita non
fosse tranquilla: l’acqua arrivava grazie a un fiumiciattolo che sgorgava da
non si sa dove, il cibo cresceva in natura più che mai, il giorno e la notte si
rincorrevano regolarmente e non accadeva mai nulla di strano.
Finché un giorno una delle donne
più belle del villaggio diede alla luce una delle creature più terribili che la
popolazione avesse mai visto.
Nessuno dei presenti capiva come il
neonato potesse vivere, dato che non aveva cuore né polmoni. Al centro del corpo
aveva una sorta di spirale bianca, elastica, che girava su se stessa e che non
poteva contenere nulla.
A quella strana spirale stavano
legate le braccia, le gambe e la testa del bambino.
Inorriditi, molti si rifiutarono di
credere che quello fosse davvero un essere umano, altri lo definirono il figlio
del demonio, i più colti cercarono di appropriarsene per farne una cavia per i
loro studi.
La bella e giovane donna prese il
piccolo con sé, nascondendolo agli occhi dei curiosi e dandogli tutto l’affetto
che una madre può dare al proprio figlio.
Gli diede il nome di Bashir ma nel
villaggio tutti lo conoscevano come “il bambino con la molla” al posto del
busto, una maledizione che, secondo le credenze popolari, gli era stato
affibbiata da qualcuno che viveva oltre le scogliere.
Il piccolo fu costretto a crescere
lontano da tutto e da tutti, disprezzato, deriso ma a volte anche temuto. Non
poteva indossare il velo del popolo perché finiva sempre per incastrarsi nella
spirale della sua pancia, quindi la madre gli cucì un paio di maniche verdi e
un paio di pantaloni scuri, che furono però motivo di altre prese in giro da
parte degli altri ragazzi.
La molla di Bashir cresceva con
lui. Diventava più forte, più elastica ma anche più pesante. I piedi
cominciarono a fargli male e per lui camminare diventò sempre più difficile.
Gli altri ragazzi lo spintonavano,
si divertivano a vederlo ballonzolare da una parte all’altra o a farlo rotolare
fino ai confini della scogliera.
In una delle sue numerose cadute,
Bashir finì con la testa molto più avanti di quanto non fossero finite le sue
gambe. I suoi occhi erano oltre il confine. Vedeva al di là della scogliera
qualcosa d’azzurro…
Ma da lontano il suono della voce
della madre che lo cercava disperatamente lo ricondusse alla realtà e a fatica
tornò a casa, incuriosito dalla strana visione.
«Mamma» le chiese, «cosa c’è oltre
la scogliera? Perché nessuno ci va mai?»
«Bashir, nessuno lo sa che cosa
c’è. I saggi del villaggio raccontano di esseri malvagi, mostri, bizzarri
animali. Si sente ogni tanto uno strano rumore, ma nessuno osa andare a
vedere.»
«Non capisco perché le persone
abbiano così paura delle cose che non conoscono. Basterebbe solo avvicinarsi un
po’ e…»
«No! L’idea non ti deve nemmeno
sfiorare. È vero, la gente ha paura di quel che non vede ma ricorda che le
scogliere sono rocce appuntite, pericolose, selvagge… nessuno vi si avvicina, i
piedi scalzi si ferirebbero e nessuno riuscirebbe a correre per fuggire…»
«Fuggire da cosa?»
“Da quell’enorme mostro che vive al
di là del confine, che quando il vento ulula grida più forte, pronto a uccidere
chiunque…»
Bashir pensò per giorni a quelle
parole. Cominciò a sentirsi come quella bestia azzurra che aveva intravisto,
abbandonata, incompresa, figlia del male.
Non avendo nulla da perdere, decise
di andare a vedere che cosa c’era al di là del mondo conosciuto.
Una notte di luna piena si avvicinò
cauto al confine. Sentiva il rumore del “mostro” che riposava. Cercò di vedere
oltre… niente, solo il buio. Avrebbe voluto allungarsi di più, andare in alto
quanto il cielo per poter guardare giù.
D’un tratto qualcosa attirò la sua
attenzione. Gli parve quasi che la luna avesse gli occhi su di lui. E non si
sbagliava. Lei lo fissava, amorevole, bellissima e pura. Sorrise. I suoi occhi
erano i laghi della tranquillità. Bashir pensò fosse frutto della sua
immaginazione. E chissà, forse lo era. Forse era il frutto del desiderio del
cuore che non aveva.
«Tu devi essere il ragazzo con la
molla» disse la meravigliosa perla bianca.
«Io… io sì, ma…»
«Cosa fai solo nella notte?»
«Ecco, io… volevo vedere cosa c’è
oltre il confine, ma… non ci riesco, non ci arrivo.»
«Ma come, non ci arrivi?»
«Non mi posso avvicinare, questa
molla pesa troppo… mi farei male a camminare fino alla fine degli scogli.»
La luna sorrise di amore materno…
«Bashir, perché non provi a volerti
bene?»
Il ragazzo la guardò con aria
interrogativa. «Ma non lo vedi come sono?! Non sono niente, sono uno sbaglio
della natura, come posso volermi bene se nemmeno gli altri me ne vogliono?»
«Tu devi essere il primo a fare un
passo verso di te e poi gli altri ti seguiranno. Guarda quelle che credi siano
le tue debolezze e usale come punti di forza, solo così potrai vedere al di là
del confine, e solo così riuscirai a dimostrare anche agli altri ciò che tu
sei.»
«Come? Come faccio?» urlò Bashir
quasi disperato.
«Punta in alto, perché tu puoi più
di quel che credi. Salta e raggiungimi…»
Una nuvola portò via il dolce viso
bianco e il ragazzo rimase a fissare il cielo confuso.
“Salta e raggiungimi” …ma che
voleva dire?
Un po’ sconfortato cominciò a
saltellare sentendosi anche un po’ ridicolo.
Ma più saltava più la molla del suo
corpo si allungava e più il suo capo andava in alto!
Cominciò a saltare più in alto,
sempre più in alto. Che strano, nessuno gli aveva mai insegnato a saltare verso
l’alto… o forse nessuno credeva che un ragazzo così “strano” potesse puntare al
cielo.
Le sue gambe rimasero vicine al
terreno, ma la sua testa e le braccia si innalzarono oltre il confine spinte
dalla molla che obbediva ai suoi comandi.
Fu così che i suoi occhi andarono
oltre gli scogli e vide l’azzurro dormire: non era un animale e nemmeno un
mostro, ma un’enorme distesa d’acqua blu che infrangendosi sulla sabbia cantava
il rumore dell’orizzonte. Il ragazzo rimase a fissare quell’incanto, con i
piedi piantati nel villaggio, il busto a molla che attraversava gli scogli e la
testa sul mare.
Ormai era quasi l’alba quando uno
degli abitanti del villaggio si accorse che “il ragazzo molla” si era allungato
oltre il confine ed era arrivato dove nessuno aveva mai osato camminare.
Svegliò tutta la popolazione, la madre di Bashir corse preoccupata verso il
figlio. Lui, sorpreso di tutte quelle improvvise attenzioni, si ricompose di
nuovo in se stesso e si voltò verso la folla che per la prima volta guardò la
sua molla come qualcosa di magico e sensazionale.
«Ragazzo» disse un anziano. «Che
cosa hai visto laggiù?»
«Ho visto un gigante buono, una
distesa di tranquillità e, oltre l’acqua infinita, ho visto una terra sconosciuta.
Il mondo continua e…»
«Impossibile!» gridò un uomo tra la
folla. «Non c’è altro oltre noi! E poi, come facciamo a fidarci di quel che
dici? Noi non abbiamo nessuna prova.»
Bashir non aveva un cuore visibile
agli occhi della gente, era diverso, eppure aveva più amore di chiunque altro.
Si mise a raccogliere tanti pezzetti di legno e con dello spago creò tanti
fiocchi. Poi chiamò a se quell’uomo che non credeva a nulla e legò sotto i suoi
piedi il legno con gli spaghi.
«Ora non ti faranno male i piedi»
disse. «Seguimi e ti mostrerò quello che ho visto io.»
I due si incamminarono lungo la
scogliera, oltre il confine. Alla fine delle rocce l’uomo vide il mare e oltre
il mare una terra immensa. Incantato dallo spettacolo e preso dallo stupore
tornò al villaggio correndo, gridando come un bambino che avesse appena
scoperto l’esistenza dell’arcobaleno. Tutti si costruirono delle “scarpe” di
legno per andare a vedere l’azzurro che dorme e l’altra parte del mondo. La
molla di Bashir da allora non venne mai più considerata il male della natura,
ma un dono che gli era stato fatto perché potesse rivelare agli altri quello
che non riuscivano a vedere da soli. Quella molla che tanto odiava era il modo
che Natura aveva scelto per innalzarlo al cielo. Non a caso, infatti, Bashir
scoprì l’altra parte del mondo mentre cercava di raggiungere con un salto la
luna.
“L'essenziale è invisibile agli occhi.”
da "Il piccolo principe" di Antoine de Saint Exuperie
da "Il piccolo principe" di Antoine de Saint Exuperie
Irene P.
martedì 10 dicembre 2013
domenica 8 dicembre 2013
Racconto: "La favola delle stelle cadenti" di Irene Pampanin
tratto dal libro
Vi era un tempo in
cui la terra era popolata da tutti gli astri dell’universo. Non esisteva il giorno e nemmeno la notte, c’erano pianeti, gnomi e fate, le
stelle crescevano come fiori nei cieli immensi di quel mondo perduto.
Da qualche parte, tra i prati infiniti, alcuni uomini
vivevano serenamente la propria esistenza priva di infelicità.
Un unico sovrano regnava incontrastato sopra ogni cosa: lo
chiamavano tutti il re Blu ed era un cielo. Cieli ve ne erano tanti ma solo lui
era così grande da riuscire a coprire tutta la superficie della terra.
Blu amava rifugiarsi da solo nel punto più alto della terra
ma nonostante questo, qualcuno andava spesso a fargli visita. Le rocce
riuscivano a parlare con lui e le montagne più alte arrivavano addirittura a
guardarlo negli occhi.
Erano amici, Blu e le montagne, tanto che un giorno le soavi
pietre d’eternità lo invitarono a scendere giù, a guardare più da vicino quello
che era anche il suo mondo. Il re dapprima oppose resistenza ma loro lo presero
per mano e lo trascinarono dolcemente più giù …
Blu rimase sorpreso nel vedere quante cose dall’alto non
era mai riuscito a vedere. Sopra i tavoli le persone tenevano vasi con mazzi di
stelle, sotto i funghi alcuni gnomi giocavano a nascondino, le fate lanciavano
la loro polvere e dove essa si posava nasceva una stella.
Il re rimase affascinato da quelle piccole luci, ma ecco
che all’improvviso qualcosa di meraviglioso si alzò davanti ai suoi occhi: era
una fanciulla vestita di bianco, tra le mani teneva una manciata di quelle
stelle che le illuminavano il viso come fosse una perla rara perduta in fondo
al mare. I dolci lineamenti di lei accarezzavano ogni cosa che sfioravano e Blu
era ormai perso nella luce di quella
ragazza con due laghi al posto degli occhi!
Nessuno sa quanto il re rimase a fissare quella fanciulla
con le stelle, forse minuti, forse giorni, forse anni. Luna era il suo nome,
una nuvola la sua casa.
Ma ecco che un giorno Luna non arrivò da sola. Vicino a lei
qualcosa splendeva d’amore.
Sole le camminava accanto; da quando l’aveva incontrata era
diventata la ragione per continuare a brillare. Sì, lui brillava per lei e il
suo amore lo scriveva in tutti i cieli e lo raccontava a tutti i mari e tutti
sapevano, tutti dovevano sapere che loro erano legati per un tempo che oggi si
chiamerebbe “eterno”.
Blu sentì un sentimento di rabbia sconosciuto uscire dal
suo cuore. Una saetta gli attraversò la pelle andando a schiantarsi su un
albero vicino. Le montagne preoccupate si avvicinarono al re che in preda alla
confusione chiese spiegazioni su quel che aveva appena visto. La roccia più
coraggiosa cominciò a raccontare che Luna da anni partiva col suo cesto per
andare a stelle. Ne raccoglieva tante perché quelle luci erano figlie delle
fate e per questo contenevano un po’ della loro magia.
Un giorno si scontrò con Sole. Anche lui andava a stelle.
Dal loro scontro nacque qualcosa che nessuno dei due aveva mai provato,
qualcosa di così speciale da non poter essere mai più distrutto! Allora lo
chiamarono “Amore”. Da quel giorno in poi, chiunque voleva sapere che cos’era
“Amore”, doveva guardare loro, Sole e Luna: lei che non brillava senza lui, lui
che non viveva senza lei. Loro che insieme spargevano Amore su qualsiasi cosa
toccavano.
Blu zittì la roccia e d’improvviso si scatenò in lui una
furia sconosciuta.
La sua ira tuonò nel cielo, fulmini e saette cominciarono a
colpire ogni angolo della terra, un diluvio di acqua si scatenò per la prima
volta sul mondo!
E fu il caos …
Seminò terrore, paura, rabbia. Scaraventò tutti gli astri
fuori dalla terra, le fate fuggirono impaurite in un regno sconosciuto, gli
gnomi scomparvero alla vista di chiunque. Solo gli uomini resistettero alla
terribile furia del cielo.
Il re reso cieco dall’amore per quella fanciulla decise che
lei e Sole non si sarebbero dovuti incontrare mai più. La strappò via da lui
con tutte le sue stelle e la esiliò dalla parte opposta della terra! Vennero
così il giorno e la notte, Sole e Luna destinati a inseguirsi per sempre senza
incontrarsi mai.
Blu mise fine ad Amore o almeno così credeva …
Quando la sua ira si placò si accorse di avere cancellato
parte del suo mondo: ora nemmeno le montagne osavano più toccarlo.
Raccolse le ultime stelle e le portò via con sé. Raccolse
le lacrime di Luna e le lasciò ricadere piano. Per la prima volta nevicò.
Decise di salire su, più in alto e più lontano possibile,
dove non poteva ferire con le sue mani, pentito per sempre di quel che aveva
fatto.
Quando per la prima volta calò la notte, lanciò le stelle
verso il mondo come fossero una richiesta di perdono ma le dolci luci si
fermarono a mezz’aria, incapaci di tornare su una terra che da quel momento in
poi sarebbe stata condannata alla distruzione.
E così fu … Sempre più uomini cominciarono a popolare la
terra e sentimenti di rabbia, egoismo e violenza cominciarono a farsi strada
tra la gente, fino al giorno d’oggi.
Ma l’amore no, non finì …
Sole e Luna si amano e amano ancora.
I sogni delle persone non sono altro che nuvole che salgono
piano sopra le montagne, l’unico posto in cui possono essere liberi. E da
lì salgono più su, fino a Sole, fino a
Luna … Ogni qualvolta uno dei due ascolta un desiderio, prende una stella dal
suo cesto e la lancia nel cielo per farla arrivare fino alle mani dell’altro,
per dirgli che ancora qualcuno ama e che allora il loro Amore non è mai andato
perso.
Anche Blu è stato perdonato. Il re prima della notte si fa
da parte e permette a Luna e Sole di incontrarsi un istante. Il tramonto non è
altro che un loro bacio, le stelle cadenti dei fiori appartenuti a un mondo
perduto di milioni d’anni fa, che Luna lancia al suo Sole e che il cielo si
occupa di spargere sulla terra per ricordare a tutti che lassù ancora vive
Amore.
Irene P.
mercoledì 4 dicembre 2013
Racconto: "Lo sguardo celeste" di Irene Pampanin
tratto dal libro
... Guardando le stelle, cercando di non perdersi ...
LO SGUARDO CELESTE
La porta era aperta. Guardai all’interno della stanza.
Ai miei occhi di
bambina tutto appariva enorme. L’armadio sembrava un vecchio gigante addormentato
e il letto quasi pareva voler uscire oltre le pareti. Le coperte erano caldi
ammassi di lana colorata e la finestra lasciava entrare tutta la luce delle
montagne.
LEI era lì, sdraiata con la schiena appoggiata sul cuscino
e le braccia incrociate sull’orlo delle lenzuola. Sapevo che non poteva muoversi
ma nessuno mi aveva mai spiegato il perché. Mi avvicinai ancora di più
all’ingresso della grande camera.
Qualcuno parlava ai piedi del suo letto. LEI ascoltava con gli occhi fissi su di
loro, eppure il suo sguardo celeste pareva non vedere nulla …
Lo ricordo ancora quel tardo pomeriggio. La mamma aveva
il grembiule rosso, mio fratello giocava accanto a me sulla panca. Le tende
impedivano all’inverno di entrare oltre i vetri trasparenti … Sul fuoco c’era
il profumo del sugo che cuoceva e un dolce calore mi avvolgeva mentre disegnavo
scarabocchi con un pennarello rosa. Un improvviso rumore di passi destò la mia
attenzione. Le case di montagna sono così, sulle scale di legno rimbalza ogni
rumore. Mi fiondai alla porta della cucina, curiosa di sapere chi era.
Cominciai a saltare per raggiungere la maniglia, troppo alta per me. Quando
finalmente la porta si aprì, il mio viso si accese in un sorriso. LEI stava salendo, gradino per gradino,
con un giocattolo tra le mani, lentamente, appoggiandosi al corrimano per
aiutarsi …
«Quanto ti voleva
bene a te», mi disse la mamma, « alcune volte prendeva i tuoi giocattoli di
nascosto e li portava a casa sua. Così aveva la scusa per tornare da te a
restituirteli».
«Ti ha cresciuta LEI», aggiunse “la Piera”, «non mangiavi
niente. Dovevamo fare il giro della casa per darti un tortellino! E’ riuscita a
tirarti su con il formaggio, solo quello volevi. Era così buona quella donna…».
Era quasi mezzogiorno. Sapevo che la porta del piano di
sotto per me era sempre aperta. Entrai piano, sbirciando con timidezza. Dalla
cima delle scale la voce della mamma mi fece sobbalzare.
«Irene! », mi riproverò, « non andare a
“smangiucchiare” adesso che poi non pranzi più». «Sì» risposi con aria
innocente sperando di apparire abbastanza convincente.
Nel frattempo aprii di più la porta, il nonno era
seduto sulla panca e mi fece cenno di entrare.
LEI stava scolando la pasta. Credevo mettesse qualcosa di
magico nel sugo per renderlo così buono e profumato. Così ogni volta che era
ora di mangiare, andavo nella loro cucina per respirare quell’odore … Mentre
ero accanto alla sedia più alta di me, LEI
mi si avvicinò. Aveva in mano un piatto pieno di quella pastasciutta
magica. Con dolcezza si inginocchiò davanti a me porgendomi il piatto.
«Tieni, mangia un po’…» mi disse con gentilezza.
Io non vedevo l’ora di assaggiare quella pasta speciale
…
«La nonna metteva
sempre la ricotta affumicata sopra la pastasciutta» mi disse un giorno il papà.
“Ecco cosa dava quel sapore magico e diverso” pensai tra me e me.
Finalmente era l’ora di partire per il mare. Era tutto
pronto, il mio zainetto con i giocattoli, le bambole e i fogli per disegnare.
Ero quasi schiacciata sul sedile posteriore della macchina a causa delle
valigie ma almeno potevo tenere il viso incollato al finestrino, pronta a
scorgere il mare appena sarebbe spuntato. Il papà mise in moto la macchina. I
nonni stavano sulle scale pronti a salutarci, uno accanto all’altro. Quando la
mamma salì in macchina per ultima, io cominciai a
salutare forte con la mia piccola manina. L’auto
partì piano e man mano che ci allontanavamo i loro occhi si riempivano di
commozione. LEI tirò fuori un fazzoletto bianco e si asciugò
lo sguardo celeste …
Forse sapeva che sarebbero stati più di 15 giorni a
tenerci lontani …
«Sei uguale a lei»,
mi dicevano tutti, «Stessi occhi celesti, stesse espressioni. Sai, la
chiamavano popa¹ perché aveva il viso da bambolina e tutti le
facevano la corte». «E anche tu “sempre con sto caffè”, come tua nonna!» aggiunse
il papà.
Saltavo allegra sul marciapiede tornando verso casa. “La
Piera” mi teneva per mano mentre mangiavo un cono gelato che mi si stava
sciogliendo addosso per il caldo, nonostante fosse sera. Mio fratello era poco
più dietro di noi e la mamma si era allontanata per telefonare al papà. Si
sentiva il profumo del mare e il cielo era sereno come non mai. Finita la
telefonata, per un istante, io e mio fratello restammo soli. Poi “la Piera” tornò da me…
«Sai Irene», mi
disse, «quando tornerai su a casa non la troverai più la tua nonna».
«E perché?»
chiesi io con gli occhi sgranati.
«E’ andata via e non tornerà più»
«Ma dove è andata?»
«E’ andata in cielo, è diventata una stella. Se guardi
bene la vedi … »
Con l’ingenuità che solo una bimba di quattro anni poteva
avere, arrivai a casa e subito andai nella cameretta. Appoggiandomi al
davanzale, guardai verso il cielo … C’erano tante stelle ed ero sicura che in
mezzo a loro c’era anche LEI.
Osservai con attenzione e finalmente vidi comparire una stella luminosissima.
“Eccola è LEI” pensai.
«Ciao NONNA»
sussurrai sottovoce e cominciai a
salutare forte con la mia piccola manina ..
Note
¹Popa: termine dialettale ladino che è sinonimo di
“bambola” “bimba”
Irene P.
Iscriviti a:
Post (Atom)