Alba dalla Tofana di Mezzo

"Galoppa, fuggi, galoppa, superstite fantasia. Avido di sterminarti, il mondo civile ti incalza alle calcagna, mai più ti darà pace". D.Buzzati

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mercoledì 30 aprile 2014

SCIVOLA di LUCA CARNIELLO (videoclip) - Directed by IRENE PAMPANIN

Ultimo lavoro 

SCIVOLA 
di LUCA CARNIELLO
(MUSICA: Luca Carniello; TESTO: Irene Pampanin)

VIDEOCLIP
DIRECTED by IRENE PAMPANIN
(con Luca Carniello - Irene Pampanin)

Made in Belluno, 2014





martedì 22 aprile 2014

Intervista a Elena Genero Santoro: "Un errore di gioventù" e gli altri romanzi.


IL VOSTRO SPAZIO
NEL MIO BLOG
rubrica letteraria e culturale, dal 19 marzo 2014

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Oggi presentiamo Elena Genero Santoro, autrice di tre romanzi pubblicati (UN ERRORE DI GIOVENTU', 0111 Edizioni - PERCHE' NE SONO INNAMORATA, Edizioni Montag - L'OCCASIONE DI UNA VITA - Lettere Animate Editore) e di tanti altri scritti ancora chiusi nel cassetto. 


«I miei romanzi», ci racconta Elena, «definibili in prima battuta come “sentimentali”, sono pretesti per trattare temi sociali e di attualità, che spaziano dalla crisi allo sfruttamento del lavoro, dall’aborto alla pena di morte, dall’abbattimento delle barriere architettoniche all’abuso di psicofarmaci sui bambini, dall’anoressia al miraggio del successo televisivo facile.
Il mio obiettivo è quello di fondere ironia e riflessione, commedia e dramma».

*

Elena Genero Santoro
Elena si presenta
“Il mio vero nome è Elena Genero. Sono nata a Torino nel 1975. Ho scritto racconti, a momenti alterni della mia vita, da quando avevo quattordici anni. Ho frequentato il liceo scientifico statale Ettore Majorana di Moncalieri. Le mie materie preferite erano l’italiano, la matematica, il disegno tecnico e la storia dell’arte. Ho colmato la mia voglia di matematica, di disegno e di storia dell’arte laureandomi nel 2000 in Ingegneria Edile al Politecnico di Torino. Continuo a colmare la mia voglia di letteratura leggendo dai venti ai cinquanta libri di narrativa all’anno.
Attualmente lavoro presso il Centro Ricerche Fiat S.c.p.a. e mi occupo di conformità tecnica dei prodotti alle normative europee in materia ambientale. Sono coniugata (Santoro) e ho due bambini. 

SEGUILA SU: 


Ciao Elena, è un piacere ospitarti nella mia rubrica. Per cominciare parlami un po’ di te. Com’è Elena Genero nella vita di tutti i giorni? Cosa fa quando non scrive?

Ciao Irene, innanzitutto grazie mille a te per questo spazio. Elena Genero nella vita di tutti i giorni è essenzialmente una mamma che lavora, quindi una persona con i minuti perennemente contati, a cui molti datori di lavoro (in ufficio come e a casa) assegnano numerosi compiti. Ma Elena Genero è anche una persona felice, perché quando sai che a casa ci sono due marmocchi sorridenti che ti abbracciano quando arrivi, non puoi che sentirti realizzata. Infine Elena Genero è anche una persona che viaggia parecchio per lavoro: dallo spostamento quotidiano (spendo un’ora e mezza in macchina tra andare e tornare) alle trasferte all’estero. In questi frangenti, che da un certo punto di vista sono stancanti, trovo il tempo per meditare, per ascoltare musica, per starmene in pace con me stessa e dare forma a ciò che intendo scrivere.

Dalla tua biografia si capisce che hai un rapporto particolare con i libri e la letteratura. Cosa ti piace leggere? C’è un autore in particolare che ti ha ispirata o che ritieni sia sulla tua stessa lunghezza d’onda? Ti è capitato di leggere recentemente il romanzo di un qualche autore esordiente/emergente che ti ha colpita?

Ammetto che ho un rapporto intenso con i libri. Mi piace definirmi una lettrice onnivora e feroce. In realtà non leggo proprio tutto, non sono appassionata di horror e nemmeno di fantasy se sono fini a se stessi. Stessa cosa per il romance puro, che magari presenta modelli fuorvianti del rapporto di coppia. Mi piace il mainstream, mi piace ciò che mi permette, in un modo nell’altro di rapportarmi con la mia realtà e di scoprire anche cose nuove. Per questo vado matta per Perissinotto, per esempio, che è un torinese come me e che ho avuto l’onore di conoscere a una sua presentazione, e che, quando scrive, descrive un mondo che per certi versi conosco molto bene. Mi piace Carofiglio, per il suo stile asciutto e senza fronzoli, diretto. Mi piace Piperno, per il suo modo di inquadrare psicologicamente i personaggi, per il suo vocabolario ricco ed esuberante, e per la sua capacità di condurre il lettore dal riso al pianto con facilità, ridicolizzando e dissacrando ogni situazione con un’ironia sottile. Adoro la Mazzantini, che sa scavare in profondo nella mente dei suoi personaggi e inventare storie in effetti molto particolari. Tra gli stranieri non mi perdo una pubblicazione della Holt, giallista norvegese, nei cui personaggi mi ritrovo. Oltre a quelli che per me sono “mostri sacri”, ultimamente ho dato parecchio spazio agli esordienti, magari ai colleghi di casa editrice. Di recente ho apprezzato “Ho ucciso Bambi” di Carla Cucchiarelli, edito da 0111: ben scritto, credibile, e con un finale aperto alla speranza. Poi mi è capitato di scaricare da Amazon un romanzo autopubblicato dal titolo “Omicidi in pausa pranzo”, di Viola Veloce. È la storia, a metà tra il giallo e il comico, di un’impiegata trentaquattrenne che trova una collega strangolata in bagno durante la pausa pranzo. È l’inizio di una serie di omicidi che coinvolgono tutti gli impiegati dell’unità a cui la protagonista appartiene, e mentre lei indaga, temendo di essere uccisa a sua volta, i morti aumentano. È una favolosa parodia dell’azienda tipo in Italia, è anche un libro di denuncia, e l’ho gradito al punto da contattare l’autrice per esprimerle il mio apprezzamento. Beh, ci ho visto giusto, di recente Mondadori le ha offerto un contratto, dunque sentiremo ancora parlare di lei.

Veniamo a te e al tuo rapporto con la scrittura: quando hai sentito l’esigenza di scrivere e perché? Cosa ti ha spinta poi a non tenere tutto chiuso nel cassetto e a pubblicare i tuoi romanzi?

Come ti dicevo, scrivo da quando ero ragazzina, ed essenzialmente la mia esigenza di scrittura nasce dalla “carenza” di qualcosa. A quattordici anni mi mancava una vita mia, perché ero piccola e non ce l’avevo ancora. Non avevo un fidanzato, le amicizie mi deludevano. Quando ho ricominciato a scrivere, vent’anni dopo, con “Perché ne sono innamorata”, sentivo l’esigenza di una bella storia d’amore (almeno secondo i miei crismi), pulita, duratura, ma non melensa. Ero satura di tutto quello che la televisione proponeva, delle serie infinite in cui tutti si prendono e si lasciano, e ho deciso di creare una cosa che fosse tutta mia e che avesse il finale che volevo io. Credo che scrivere sia un modo come un altro di costruire un mondo parallelo in cui si è liberi di modificare la realtà a piacimento, cosa che non si può fare normalmente, e senza fare danni a nessuno. Bisogna solo stare attenti perché, nonostante tutto, a volte i personaggi cominciano a vivere di vita propria e a sorprenderci inaspettatamente! Per cui no, gli scrittori non sono onnipotenti nemmeno nel mondo che creano loro stessi!
Per rispondere alla tua domanda, cosa mi ha spinto a pubblicare "Perché ne sono innamorata", posso dirti che sono stati gli amici, che l’hanno letto, trovato gradevole, e mi hanno incentivata a tentare la sorte in qualche casa editrice, ripetendomi che il mio lavoro era all’altezza di poter essere divulgato.

Il primo romanzo, “Perché ne sono innamorata”, è uscito nel 2013 con Edizioni Montag. Ci racconti un po’ di questa tua prima esperienza letteraria? Come è stato accolto il romanzo? Consiglieresti a un editore esordiente di rivolgersi a Edizioni Montag?

Quando mi sono approcciata al mondo delle case editrici, non sapevo nulla di nulla di nulla! Ho trovato Montag un po’ per caso, su un blog che elencava il nome di alcune case editrici per esordienti. Ho scritto a loro e a pochi altri; loro mi hanno formulato una proposta ed io ho accettato. Premetto che con Montag mi sono trovata bene per molti versi: sono gentili, sono disponibili e se ho domande, rispondono. L’altro aspetto positivo di una casa come Montag è che non hanno preclusioni di genere, per cui sono aperti a ogni tipo di opera che sia ben scritta e abbia appetibilità. Non solo consiglierei Montag per un esordiente, anzi, l’ho pure fatto con un mio ex collega in pensione che ha il mio stesso hobby. Il problema delle piccole case editrici, tutte o quasi, non solo di Montag, è che non riescono a gestire la promozione del libro, che ricade tutta sulle spalle dello scrittore. E lo scrittore deve ingegnarsi in molti modi, per avere visibilità, per farsi conoscere, per fare delle presentazioni. E quindi eccomi qua! Chi ha letto "Perché ne sono innamorata", finora lo ha apprezzato. Ho ricevuto anche delle buone recensioni, da gente a me sconosciuta che si è presa la briga di leggerlo (esempio: QLibri). È un romanzo che di primo acchito pare una storia per ragazzine. In realtà “Perché ne sono innamorata” è un romanzo quasi tutto al femminile e parla di innamoramento a vent’anni, innamoramento che può essere vissuto come attaccamento morboso, o come fenomeno che rischia di scombinare tutti i piani e scardinare le labili certezze messe insieme fino a quel momento e di gettare, nel bene o nel male, le basi per la vita adulta. Innamoramento che può aprire le porte ad un’avventura meravigliosa e inaspettata, oppure che può costringere a scelte impegnative, o, infine, che può condurre all’annullamento di sé e della propria dignità quando la controparte è un ragazzo violento, arrogante e prepotente.
“Perché ne sono innamorata” è la storia di un inizio, i protagonisti hanno appena intrapreso il loro cammino (e cresceranno, in romanzi successivi, che già esistono),  - anche il “cattivo” è un cattivo al primo stadio, - ma già si intravede come tutti loro sceglieranno di vivere quando giustificano le loro azioni dicendo: “Lo faccio perché ne sono innamorato”.

A febbraio è uscito il tuo secondo libro “Un errore di gioventù”, edito dalla 0111 Edizioni. Come è stata la tua esperienza con questa Casa Editrice? Come ne sei venuta a conoscenza?

0111 Edizioni mi è stata segnalata da un’amica, Stefania Trapani, che aveva pubblicato un romanzo con loro (“Alla fine dei sogni”) e si era trovata molto bene. Io non posso che confermare le sue impressioni: sono precisi, puntuali, organizzatissimi, rispettano ogni scadenza. Tra le piccole case editrici hanno una buona nomea. A loro ho riservato “Un errore di gioventù”: sono gli unici a cui l’ho spedito, non avevo fretta ma volevo loro, anche perché mi offrivano sia il cartaceo che l’ebook, e loro, per mia fortuna, mi hanno detto di sì.

Scendiamo nel dettaglio del romanzo. Lo hai voluto dedicare a “Eddie”, un uomo con il quale per 8 anni hai instaurato una fitta corrispondenza diventando la sua “amica di penna”. Nel 2010, condannato alla pena di morte, è stato ucciso. Ci racconti di questa tua esperienza? Cosa ti ha insegnato?

A ventisette anni sono venuta a conoscenza della Comunità di Sant’Egidio, che, come altre associazioni, tra cui Nessuno Tocchi Caino e Amnesty International, lottano contro la pena di morte. Tra le altre cose fornivano indirizzi di condannati nel braccio della morte e allora mi sono detta “Perché no?” e me ne sono fatta dare uno, tutto sommato con superficialità. Cioè, le mie intenzioni erano ottime, volevo fare qualcosa di buono, ma non avevo la più pallida idea del casino in cui mi stavo cacciando. Martin Eddie Grossman non era solo un’entità astratta, era una persona vera, con un mare di problemi, per giunta. E quando ha iniziato a scrivermi a sua volta, raccontandomi tutto ciò che gli stava accadendo, la battaglia legale, la madre malata di Alzheimer, che poi è morta per un infarto, i suoi problemi di salute, e altre disavventure famigliari, io ho temuto di non potercela fare. Per alcuni mesi non ho avuto più il coraggio di scrivergli. Mi sembrava che tutto ciò che succedeva a me fosse un’inezia. Ma poi mi sono sbloccata, quando ho capito che Eddie in realtà non chiedeva consolazione, ma semplicemente un contatto con il mondo, che diversamente gli era precluso. Eddie era una persona gentile, estremamente cortese. Quando l’ho conosciuto io era già in galera da, credo, diciotto anni, ed è stato ucciso otto anni dopo. Certamente aveva avuto tutto il tempo di pentirsi e di meditare sui suoi errori, di maturare. Comunque quello che ho conosciuto io non era un mostro, era una persona normale e bisognosa di affetto.

Anche nel tuo romanzo si parla, tra le altre vicende, di Luis, un detenuto che per “un errore di gioventù” è condannato alla morte. Quanto della tua esperienza con Eddie si rispecchia nella storia di Luis? Ci sono dei riferimenti reali? Se sì, quali?

Il caso di Luis Crawford non è reale e Luis Crawford non è mai esistito. Ciò che è realistico è il caso giudiziario, un omicidio preterintenzionale commesso sotto effetto di stupefacenti, come per Eddie, seppure con contorni diversi. Aggiungo che in alcuni stati, come l’Alabama, si viene condannati a morte non solo per omicidio ma anche per rapina e per stupro. E poi, ovviamente, Luis ha molto di Eddie, ma ha anche dei tratti comuni con i due condannati con cui attualmente corrispondo. Intanto Luis è nero: Eddie non lo era, ma apparteneva comunque a una minoranza (era un ispanico convertito all’ebraismo), mentre i miei altri due amici sono pure neri. E poi, a parte le somiglianze giudiziarie ed etniche, Luis è una persona intelligente, che ama il mare, la buona cucina e le cartoline che gli inviano, che ha bisogno degli amici, che si confronta quotidianamente con i suoi errori precedenti e che teme ciò che lo aspetta. Eddie e gli altri due miei amici erano e sono tutto questo: persone normali, nonostante tutto, che chiedono, per quanto possibile normalità e rispetto.

Parlando di Luis, hai voluto in qualche modo “denunciare” le condizioni in cui vivono i detenuti condannati a morte. Quale messaggio vuoi dare?
  
Un esempio per iniziare: nel braccio della morte i pasti sono serviti alle ore 4 del mattino, 10 del mattino e 14,30. Dopodiché buonanotte a tutti, la giornata è finita. I pasti sono di qualità pessima, per aiutare i condannati bisogna inviare loro dei bonifici, cosicché essi possano acquistare cibo migliore e prodotti per l’igiene personale. Le estati sono torride e gli inverni sono gelidi. Insomma, si campa male. C’è chi afferma che i detenuti di un certo tipo in America siano un affare per fare business, per guadagnare soldi sfruttando il loro lavoro. Dunque la giustizia nella condanna a morte c’entrerebbe proprio poco, e questa è la ragione per cui vengono condannati solo i più poveri e indifesi. Se la pena di morte sia realmente un business io non lo posso provare, ma so che i prigionieri non hanno vita facile, dovendosi confrontare perennemente con un’esistenza grama e con la convinzione che viene loro instillata di essere dei mostri e di meritare un trattamento che si riserverebbe solo ai mostri. E la prospettiva, per un condannato a morte, è ancora più spaventosa. Nonostante ciò, un condannato vuole comunque vivere. Nel libro affido a Mac, un attore di discreto successo, la parte dello scettico, di quello che, pur non approvando la pena capitale in linea di principio, ritiene comunque che chi subisce quel trattamento in fondo se lo sia meritato. Mac avrà un percorso che lo porterà a ricredersi completamente e capirà che anche un assassino è pur sempre un essere umano, e merita rispetto, a prescindere da chi è e da cosa ha fatto. In questi giorni ricorre il terzo anno dalla morte di Vittorio Arrigoni. Mi piace in questo frangente citare la sua frase più celebre: “Restiamo umani”.

Accanto alla storia di Luis si intrecciano altre storie: ci riassumi brevemente il profilo dei vari personaggi? Cosa hanno in comune tra di loro? Alla fine, la domanda che tutti si pongono mi sembra sia: “E’ giusto che un errore di gioventù presenti il conto dopo tantissimi anni, quando le persone sono cambiate?”.

È un libro di “mostri”, o di quelli che la gente ritiene solitamente tali. C’è Teresa, una ex transessuale, ormai legalmente donna, che cerca rivalsa verso la sua famiglia che l’ha sempre osteggiata nel suo percorso di adeguamento del sesso. Lei va contro tutto ciò che una normale famiglia borghese e bigotta può volere dal proprio figlio, e per lei la femminilità corporea è un punto di arrivo, anziché di partenza. E Teresa si insinua nella vita di Manuela e Giovanni, coppia in via di rocambolesca separazione.
Poi c’è Patrick, marito di Futura, al quale sta per nascere la seconda figlia. Si sente felice, realizzato e padrone della sua vita quando una sua vecchia fiamma si ripresenta alla sua porta affermando di avere una figlia adolescente che potrebbe essere sua. A quel punto gli crolla il mondo addosso, anche perché non ha il coraggio di parlarne con sua moglie temendo un rialzo della pressione a fine gravidanza. E, soprattutto, si arrabbia, perché nella vita lui è sempre stato un maniaco del controllo e un marito fedele fino alla nausea, per cui non ora non si rispecchia più nell’adolescente sconsiderato che ha avuto un rapporto non protetto dopo aver alzato troppo il gomito. Dunque è giusto che paghi adesso per un errore commesso quando era una persona diversa? E mentre lui si colpevolizza, il suo amico Mac, l’attore, gli fa presente che: “A diciotto anni si commettono ‘ca**ate’ e le ‘ca**ate’ possono avere delle conseguenze. Se sei fortunato, no.”
Inoltre, Patrick e Futura sono gli amici di penna di Luis che incentivano Mac a occuparsi del suo caso. Futura poi, alle prese con la gravidanza e con il parto, propone delle riflessioni sulla maternità. Infine, per stemperare un po’ il tutto, c’è Iago, il fratello minore di Futura, alle prese con un altro simpatico “mostro”: un’ossessionante fidanzata gelosa.

Come è stato accolto “Un errore di gioventù” dal pubblico? Tu sei soddisfatta?

Diciamo che tutti quelli che avevano letto “Perché ne sono innamorata” mi hanno immediatamente chiesto quest’altro libro! E poi si sono accorti che è molto diverso. Meno rivolto a un pubblico femminile e anche meno sentimentale. Per il resto, sono appena all’inizio con la campagna di promozione, ma l’argomento trattato ha incuriosito diverse persone e enti, tra cui le stesse associazioni che si occupano della pena di morte. La Comunità di Sant’Egidio ha già scritto un articolo su di me. Altri articoli e recensioni dovrebbero uscire prossimamente. Staremo a vedere.

Il tuo ultimo lavoro, fresco fresco d’aprile, è un ebook, “L’occasione di una vita” (Lettere Animate Editore). Vuoi parlarcene un po’?

Il mio ultimo lavoro in realtà è il secondo, è il seguito diretto di "Perché ne sono innamorata", ed è ancora pienamente appartenente al filone sentimentale rivolto prevalentemente a un pubblico femminile. Per le varie vicissitudini editoriali, il contratto per questo libro mi è arrivato dopo quello di "Un errore di gioventù", che, per dirla tutta, è il mio nono libro della mia saga su Futura e Patrick (poi nel cassetto c’è un altro romanzo che non li riguarda).
L’occasione di una vita è stato scritto mentre aspettavo il mio secondo bambino e parla di aborto, o meglio, di una gravidanza indesiderata e terminata prematuramente in modo spontaneo! D’altronde, si può parlare solo di ciò che si conosce molto bene o di ciò che si teme, ed io cosa temevo più di ogni altra cosa mentre ero incinta? Comunque, Futura e Patrick, all’inizio della loro convivenza a Londra, si trovano alle prese con una gravidanza arrivata per caso. Lei ne è impaurita, ma non vede ragioni per interromperla, lui invece, pur non volendo fare pressioni esplicite, non riesce a nascondere il suo disagio. Insomma, Patrick non se la sente di diventare padre e non vuole nemmeno affrontare il discorso. Tra i due fidanzati cade il gelo, finché Patrick non assiste alla prima ecografia e in quel momento ha una specie di rivelazione. Vedere quell’esserino lungo pochi centimetri e già perfettamente formato lo sconvolge e gli fa cambiare il suo punto di vista. Purtroppo, mentre lui riflette, Futura perde il bambino. È l’inizio di una catena di equivoci che porta lei a scappare in Irlanda insieme a un amico e lui a inseguirla in cerca di un chiarimento.
Nel frattempo, in Italia, Ljuda, madre disperata di due bambini piccoli, non trova di meglio da fare che farsi selezionare per il Reality Più Famoso d’Italia e Manuela rivoluziona la Casa di Accoglienza che Massimo, marito di Ljuda, gestisce per aiutare le donne in difficoltà.
In questo mio libro il tema della violenza sulle donne è ancora portato in ballo in modo collaterale, raccontando le storie delle ragazze che popolano la Casa di Massimo. La Casa di Accoglienza citata non esiste, ma le sue attività e le sue storie sono ispirate a quelle della Casa degli Amici di Lazzaro di Torino, che accoglie madri in difficoltà e donne strappate dalla strada.
La parte più ironica e divertente, ma anche amara, di questo romanzo riguarda le tragicomiche avventure di Ljuda rinchiusa nella Casa del Reality. Durante la mia prima gravidanza ho smaltito la mia depressione post parto allattando davanti al Grande Fratello (ebbenesì, lo confesso). È un’esperienza che non ripeterò mai più, ma mi ha insegnato quanto i Reality siano fosse dei leoni e quale esercizio crudele possa diventare per i partecipanti. Di questo ho voluto raccontare in questa storyline minore.
Ma tornando a Futura e Patrick, posso ancora aggiungere due cose. Il loro viaggio in Irlanda è lo stesso che ho fatto io, in tutte altre condizioni psicologiche, per fortuna, anni fa con mio marito. Quindi tutti i luoghi descritti sono stati da me visitati. Per quanto riguarda il tema dell’aborto, invece, ci tengo a sottolineare che ho cercato di rispettare tutti i possibili punti di vista, sapendo che si tratta di un tema estremamente delicato. Peraltro, lo sconvolgimento di Patrick davanti all’ecografia, è lo stesso che hanno provato altri uomini (realmente esistenti) quando all’ottava settimana hanno visto per la prima volta il cuoricino pulsante del loro bambino. Sto parlando di uomini che conosco e che, prima, sulle interruzioni di gravidanza non avevano mai avuto un parere né in un senso né nell’altro. Nonostante ciò sono rimasti folgorati. Perciò mi sono permessa di attribuire gli stessi sentimenti a Patrick, il quale comunque rifiutava inizialmente la gravidanza per una paura sua e non per motivi di difficoltà economica o di impossibilità pratica.

Hai intenzione di pubblicare anche gli altri otto romanzi che hai scritto? O ci sono nuovi progetti in vista?

Intanto continuo a scrivere! È la cosa che preferisco. Sugli altri otto ancora non so. Potrei anche non pubblicarli affatto, vediamo che seguito avranno questi. Diversamente, chi vuole leggermi a tutti i costi sa dove trovarmi.

Grazie Elena, credo che la tua esperienza debba far riflettere tutti. Buona scrittura

Ma grazie a te!

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*(La biografia è stata fornita dall'autore)
*INTERVISTA A CURA DI IRENE PAMPANIN E DESTINATA IN VIA ESCLUSIVA ALLA RUBRICA TACUìN. E' VIETATA OGNI RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE, DELLA STESSA.


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lunedì 21 aprile 2014

A proposito di ... Monia Colianni. Intervista.


IL VOSTRO SPAZIO
NEL MIO BLOG
rubrica letteraria e culturale, dal 19 marzo 2014

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Oggi la rubrica Tacuìn vuole presentarvi Monia Colianniautrice del romanzo A PROPOSITO DI DAFNE (0111 Edizoni) e di un blog intitolato UN BLOG STRO**O SENZA UN PERCHE' . Credo troverete questa intervista molto interessante e attuale, specie per i temi che porta alla luce Monia, una "moderna Alice" che dice: 
"Faccio finta di essere certa che la vita sia una. E se davvero è una, non ho certo tempo di vivere tappe decise dagli altri".

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Monia Colianni

A proposito di ... Monia
Nasce a Enna il 26 agosto 1980. Si trasferisce nella provincia di Varese nel 1987 dove attualmente vive. Frequenta il Liceo Scientifico. Giunta al diploma, è ormai consapevole che il suo futuro non avrà a che fare con i numeri. Già in adolescenza, inizia a comporre canzoni, che negli anni successivi proporrà nella sua zona con una band. Si laurea in Scienze dell'Educazione a Milano conciliando studio e lavoro. Frequenta la Scuola Manageriale e di Comunicazione Strategica di Giorgio Nardone, venendo così in contatto con il mondo della comunicazione e della terapia strategica. Nel frattempo, la scrittura creativa resta una costante del suo tempo libero. Nel 2011, sentendo che la scrittura è ormai una vocazione troppo forte, inizia corsi di scrittura presso un'associazione culturale di Varese, dove sperimenta diversi generi letterari. Lo stesso anno, riprende in mano il suo primo romanzo, iniziato qualche tempo prima, e lo ultima. Al suo interno, Monia racconta l’amore, attraverso le sue grandi passioni sviluppate negli anni: l’arte e la psicologia. Nel gennaio 2012 lo invia alla redazione della 0111Edizioni. Sei mesi dopo, la 0111 le comunica una proposta editoriale. Il 21 settembre “A proposito di Dafne” viene pubblicato in versione cartacea e il 28 ottobre presentato ufficialmente presso laFeltrinelli di Varese. Attualmente Monia ha ultimato il secondo romanzo e sta vagliando alcune possibilità di pubblicazione. Cura inoltre un blog letterario*.

SEGUILA SU:

Ciao Monia, è un piacere averti ospite nel mio blog! Devo dire che sei un’autrice che mi ha colpita molto, specie per il tuo essere “come vuoi tu”, senza paura di dire le cose come stanno e andando contro ogni rischio di “standardizzazione”. Riuscire a tenersi stretta la propria personalità, specie quando si scrive, credo sia importantissimo. Tu che ne pensi?

Ciao Irene, grazie mille, il piacere è mio! Sì, non è facile rimanere schietti e senza peli sulla lingua quando inizi a esporti con quello che fai, e quindi pubblicamente. Questo può piacere, ma alle volte risulti scomodo. Sono fatta così, e anche scrivendo mi tengo stretta la personalità, perché gli “stampini” non mi sono mai piaciuti. Se devo scrivere o sostenere un pensiero solo per accontentare il pensiero della massa, piuttosto non dico e non scrivo nulla.

PARLANDO DEL BLOG

Ti ho posto questa come prima domanda per introdurre “A proposito di … Monia Colianni - Un blog stro**o senza un perché”, ovvero il tuo blog. Quando si scrive un post si rischia spesso di scrivere quello che a un lettore piacerebbe leggere e non quello in realtà pensiamo. Tu non lo fai: scrivi quello che pensi, a volte anche il modo tagliente. Ho molto apprezzato questo tuo modo di scrivere. Lo hai scelto specificatamente per il blog? O è lo stesso modo di scrivere che utilizzi poi anche per le tue storie?

Sì, come ti dicevo scrivo quello che penso, esattamente come lo penso. Scrivere ciò che la gente si aspetta è facile, e spesso assicura seguito. Io ho un blog senza pretese, non voglio insegnare nulla e preferisco solo strappare qualche risata esponendo la mia critica alla società, soprattutto la web-società. Quella del blog è di certo una scrittura più schietta e mirata, così come quella di alcuni corti narrativi che ho scritto. Nel romanzo di esordio i toni sono altri, perché racconto vicende drammatiche. Nonostante tutto, qua e là i miei personaggi lanciano frecciate, punti di vista e critiche sociali a nome mio!

Rimaniamo sul blog. Domanda scontata: quando lo hai creato e con quale obiettivo? Lo so che già il titolo spiega che non c’è un perché … Ma allora mi chiedo se non sia stato frutto dello schizzo di un momento… ;)

Il “senza perché” del mio blog è riferito più che altro al suo essere “stro**o”. Nel senso che non ho un tema portante, ma parlo di tutto. La costante è l’ironia tagliente con cui affronto le varie tematiche. Il nome del blog è un po’ la mia presa in giro del concetto che si diceva prima: se dici ciò che pensi, spesso passi per stro**o. Quindi me lo dico da sola già nel titolo, così tolgo l’incombenza ad eventuali moralizzatori. Non volevo creare il classico, grigissimo blog letterario autocelebrativo solo perché ho pubblicato un romanzo. Al suo interno le info e le pagine dedicate al libro ci sono, ma nei post mi piaceva l’idea di raccontare ciò che penso in modo leggero. In sostanza lo scopo è un po’ questo: siamo nella cacca, ma ridiamoci su.

I tuoi post trattano temi diversi ma sempre attuali. In particolare mi sono piaciuti quelli dedicati ai social, “Social…Mente Matti”. Ironici, sarcastici, divertenti, semplici da leggere ma che nascondono, secondo me (che non sono un’esperta del settore), una perfetta descrizione psicologica dell’utente-dipendete da Facebook. Tu la chiami “compulsione fatale”. Parlacene un po’ …

Sì, “Social…mente…matti” è un mini saggio abbastanza comico e tagliente, scritto l’anno scorso, che sto inserendo a puntate nel blog. Mi piace molto trattare ciò che avviene nel web. E hai assolutamente ragione: fa ridere, ma nasconde grandi verità. Io che in qualche modo ho sempre avuto a che fare con la passione per la psicologia, trovo il web un campo di ricerca incredibile, e spesso imbarazzante. Passo abbastanza tempo su internet, e osservo. Quello di cui parlo nello specifico in quei post, è la trasformazione che avviene alle persone quando vestono i panni del loro account. Alcuni vengono colti da “compulsioni fatali” che descrivo in modo farsesco ma che, ahimè, corrispondono al vero: piazzare la qualunque foto di qualunque momento, comunicare ogni spostamento, condividere vignette o mettere “like” come se non ci fosse un domani. In alcuni casi ho esasperato e scherzato, ma il dover socializzare ogni cosa sta diventando un vero problema. Una sorta di dipendenza: “lo faccio, e allora devo mostrarlo per forza a tutti”. Non c’è più il segreto di un momento con la propria famiglia, l’intimità. Si socializza ogni cosa. Tutto regalato a tutti. Non è una svendita di vita privata, è un vero e proprio “fuori tutto”! Poi mi sono concentrata particolarmente sui web-moralizzatori, che diventano compulsivi nel dover dire agli altri cosa è giusto… più fastidiosi di una ragnatela in faccia. 

Sulla destra del blog spicca il logo contro l’editoria a pagamento. Spesso un autore alle primissime armi o chi non è del mestiere, non sa bene la differenza tra una vera Casa Editrice e un’editrice a pagamento (e ci casca!). E’ un concetto che nel tuo blog esprimi molto bene. Vuoi riportarlo anche qui in questa intervista e ribadire i motivi per i quali credi sia giusto dire “no” all’editoria a pagamento?  

L’editoria è un mestiere, ma oggi lo fa chiunque. Nello scegliere a chi inviare, o comunque prima di firmare contratti, suggerisco di prestare la massima attenzione alle richieste: se chiedono contributi in soldi o in copie, non abbiamo a che fare con un vero editore. Il tutto è legale, per carità. Ma a mio avviso il vero editore è colui che si assume il rischio di pubblicarti perché crede nel tuo potenziale. Alle prime pubblicazioni e dalle piccole case free, non possiamo certo pretendere percentuali da capogiro, e che nessuno si illuda che questa passione possa diventare facilmente un lavoro. Ma in realtà se è una passione, questo non dovrebbe nemmeno preoccuparci. Dovrebbe interessarci il fatto di farsi conoscere, con qualcuno che crede e investe sul progetto. Certo, se arriva il centesimo rifiuto dalle case free, forse è meglio rileggersi con occhio critico o trovare un editor spassionato ed esperto. Magari non è un’opera con potenziale come credevamo. A prescindere da ciò che uno scrittore crede di se stesso, meglio investire in self publishing, che pagare un editore.


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Nel 2012, per il tuo primo romanzo “A proposito di Dafne”, hai scelto quindi una Casa Editrice non a pagamento, la 0111 Edizioni. Ci racconti come è stata la tua esperienza con loro? Ti sei trovata bene?

La 0111 mi è stata suggerita da una ragazza che conosco. Io non cercavo pubblicazione in quel momento, quindi ho tenuto il nominativo da parte per un po’. Poi un paio di persone della famiglia hanno letto il mio romanzo, spronandomi a provare. Unico tentativo, fatto in modo parecchio disilluso. Invece, forse, era destino che la storia di Dafne uscisse, perché è stato subito . Per giudicare oggi una casa editrice che lavora con emergenti, credo sia molto importante la distribuzione. E direi che non posso proprio lamentarmi, le copie richieste sono sempre arrivate, e lo si trova in tutti i principali store di settore, sia in cartaceo che ebook. Inoltre, essendo vicina alla sede 0111, ho avuto la fortuna di un contatto diretto con l’editrice, che spesso ha presenziato i miei eventi e seguito il mio lavoro di promozione. 

Inoltriamoci dunque nel mondo della scrittura. Come ti sei avvicinata ad esso? Come è iniziata la tua voglia di raccontare storie? Hai frequentato anche il "Centro di Terapia Strategica" di Giorgio Nardone, una scuola che, dici, ti ha cambiato il punto di vista. In che senso?

Ne ho sempre raccontate di storie! Da piccola attraverso il gioco. In adolescenza con i temi a scuola e facendo musica. Oggi con la narrativa. Dopo la laurea, quando il tempo a disposizione è aumentato, ho iniziato a collezionare soggetti e corti. Poi nel 2011 ho fatto un corso di scrittura per iniziare ad avere correzioni e pareri. E da lì ho concretizzato l’idea di una storia più lunga. A livello didattico, dopo la laurea ho conosciuto la scuola che dicevi, il CTS di Arezzo, fondato nel 1987 da Giorgio Nardone e Paul Watzlawick. È un Istituto di Ricerca, Formazione e Attività Clinica, con centri affiliati in tutto il mondo. Il loro scopo, con migliaia di casi trattati e risolti, è di bloccare molte tra le psicopatologie più diffuse attraverso la comunicazione e particolari protocolli terapeutici. Il punto di vista mi è cambiato perché frequentando la loro scuola ho capito che molte trappole mentali ce le costruiamo da soli. E’ questione di capire cosa fa la persona per alimentare inconsapevolmente il proprio problema, e poi bloccarne il meccanismo. Anche senza entrare nello specifico delle cure mentali, il loro modello di comunicazione strategica migliora la vita di tutti i giorni in modo concreto.

Veniamo dunque al tuo romanzo “A proposito di Dafne”. E’ stato inserito nel genere Romance – Young Adults. Perché secondo te? E’ una storia sentimentale e psicologica. Su quali elementi ti sei basata per costruirla e raccontarla? Come sei riuscita a descrivere così bene la psiche “malata” dei due protagonisti, Dafne e Bob?

Oggi, credo che la classificazione “young adults” sia riduttiva. E me ne sono accorta dopo i riscontri. I miei lettori, e soprattutto i più appassionati, sono nella fascia 45/55. Se l’hanno comprato i figli, i pareri più sentiti mi sono tornati da genitori, suoceri o zii. Comunque è un libro per tutti, anche per la varietà dei temi trattati. Per costruire la storia i miei studi sono stati fondamentali. All’università ho approfondito molto la rieducazione e le devianze, al CTS ho studiato il modello di terapia e comunicazione di cui ti parlavo. È così che ho potuto sviluppare il tema e la psiche malata dei protagonisti in modo più veritiero possibile.

L’ho definita psiche “malata” perché entrambi i protagonisti sono complici di un circolo vizioso dal quale è difficile uscire: Bob picchia Dafne e lei lo perdona sempre (in nome dell’amore?). Il tema della violenza tra le mura domestiche è protagonista ed evidenzia come spesso una donna abbia paura di denunciare le violenze subite e continui a sperare in un cambiamento. Direi che è un tema (purtroppo) sempre più attuale.  Credi che il tuo libro possa far riflettere su questo? La violenza può, come nel caso di Dafne, essere confusa con l’amore e dunque trovare una giustificazione?

Sì, la mia è una storia di violenza domestica, quindi violenza subita da una persona con cui esiste un legame privato e affettivo. Ho raccontato cosa succede all’interno di un amore che da sano si trasforma in malato, dove la vittima cerca di aiutare con i propri mezzi il carnefice, al punto di scusarsi e colpevolizzarsi. Ma così facendo, entra e alimenta un circuito malato che in troppe storie reali degenera fino al raptus finale, o che porta comunque ad anni e anni di soprusi. Il tema è attualissimo, con dati raccapriccianti e misure ancora troppo assenti, sia come tutela della donna che come recupero o persecuzione dell’uomo. Spesso sento dire: “ma perché non lo molla?” Oppure “ma se ti picchia come fai a restarci?” Facile, quando si parla di altri e non si sa nulla della psiche umana e delle relazioni. Beh, a quelle persone do una brutta notizia: non è così semplice uscire da queste spirali. Spesso in questo tipo di amori malati non si ha la forza di denunciare e fuggire perché anche la vittima è “malata d’amore”, e non vuole tradire il proprio uomo. Oppure perché la vittima ha paura di una vendetta (come biasimarla, viste le statistiche e l’incertezza della pena). E allora il mio messaggio contenuto nel romanzo è: piuttosto che subire violenze, che non sono mai giustificate e giustificabili, un’altra strada può essere quella di rivolgersi a centri specializzati, ad esperti in psicopatologie che possano aiutare ad agganciare l’uomo e convincerlo a un consulto. Se lo amiamo, è così che possiamo tentare di salvarlo, e non subendo le sue violenze. Nella mia storia ho costruito un personaggio tale, Bob, che mi aiutasse a portare avanti questo messaggio: non tutte le persone con disturbi comportamentali sono irrecuperabili. Nel suo caso la patologia e la mancata gestione della rabbia non sono dovute a psicosi, ma a eventi traumatici che hanno costruito pian piano una patologia. E così come una patologia del suo tipo si costruisce, con la terapia strategica si può distruggere. Lo davo per scontato, ma vista una recente reazione sul web, mi tocca precisare che il mio messaggio non è a favore del perdono incondizionato e della falsa speranza. “A proposito di Dafne” resta una storia, e non una generalizzazione a tutti i casi. Io sostengo che laddove sia possibile una cura, questo andrebbe fatto o almeno tentato, soprattutto per non esporre la vittima a rischi peggiori. E se una riabilitazione è possibile, solo un esperto può dircelo.

In “A proposito di Dafne” si parla però anche di arte. Che posto occupa l’arte nella tua vita? Ti senti, da questo punto di vista, un po’ come Dafne che fa di tutto per vivere a pieno le sue passioni artistiche?

Dafne ha una strada, la pittura, e per lei è tutto estremamente legato a quello. E’ eccentrica, creativa ma sempre nel suo ambito. Quando prova a fare altro si perde e non è a suo agio. E fa di tutto affinché l’arte diventi un mestiere. Io sento il bisogno di fare quello che mi fa star bene, ma al contrario di lei non mi sono mai incaponita molto per farlo diventare un vero e proprio lavoro. Mi mantengo facendo tutt’altro, che nulla ha a che vedere con la scrittura, la musica, e le mie passioni in ambito creativo. Vivere di scrittura in Italia è una di quelle cose che mi richiederebbe talmente tante energie e “sbattimento” da consumarmi la passione. E io non voglio. Lo vedo fare a tanti esordienti troppo convinti e accaniti. Ai primi scritti cercano i guadagni con affanno, concentrandosi più su quello che sulla scrittura in sé. Io mi gusto i miei lettori e i miei piccoli risultati, che è già un traguardo superlativo. 

Come è stato accolto il tuo romanzo dal pubblico? La promozione come è andata?

Il romanzo è stato accolto davvero bene, parlando di pareri. E da buona cinica, so scremare quelli autentici da quelli di facciata. Chi l’ha comprato, spesso l’ha passato a familiari. In una prima fase hanno letto le persone che conosco nella vita e con cui lavoro. Sono rimasta sorpresa dal fatto che quelli che hanno motivato in modo più esaustivo l’apprezzamento fossero uomini. Considerato che alla base c’è una storia d’amore, non ci speravo. Ma l’aspetto psicologico ha smosso la curiosità e coinvolto. E da quello che mi dicono, il mio stile “cinematografico” è riuscito ad agganciare anche i lettori più pigri. Molto interesse, sia in positivo che in negativo, c’è stato sul finale. Ed è bello che la gente si interroghi, lo apprezzi o mostri scetticismo. Vuol dire che la storia crea riflessione.
La promozione è partita da Feltrinelli, poi ci sono stati diversi eventi. Ora è molto attiva online, dove nelle ultime settimane è partito un inaspettato passaparola tra persone che non conoscevo e che stanno leggendo il libro. Cerco di parlare molto con loro, attraverso un gruppo di blogger che mi sostiene. Uscire dalla rete di conoscenti per un esordiente è difficile. Ma quando inizia a realizzarsi, è una vera soddisfazione. Dopo un momento dedicato alla sola scrittura, riprenderò a breve con gli eventi. C’è già qualcosa nell’aria.  

Abbiamo parlato del tuo blog e del tuo romanzo ma so che ti stai muovendo anche in altri campi artistici, come la musica e il cinema. Sono degli hobby collaterali o hai dei progetti in corso?

La musica è una costante della mia vita. La ascolto facendo tutto, e senza non potrei stare. Suono e compongo con la mia chitarra appena posso, ma questo lo faccio solo per me. Anni fa avevo una band, ora non avrei testa di cercare divulgazione anche in quel campo. Altrimenti si rischia di fare troppe cose, e male. Non mi dispiacerebbe l’idea di proporre pezzi come autrice, cercando qualcuno che possa arrangiarli e suonarli. Col cinema è uguale: per passione ho studiato da autodidatta la scrittura cinematografica, realizzando alcune di sceneggiature per corti che tengo lì in un angolo. Ho preparato anche il soggetto per la trasposizione del mio romanzo, che in un paio di occasioni abbiamo provato a proporre, con un amico del settore. Ma sono tutti dei “di più”. Se arrivano bene, se non arrivano non mi tolgono certo il sonno. L’importante è non perdere la passione di fare, anche solo per se stessi. A proposito di arte, è stato molto bello partecipare e collaborare alla scrittura e alle riprese del booktrailer di “A proposito di Dafne”. E’ stato tutto creato apposta, musica compresa. Uno spot particolare, realizzato con due persone eccezionali, in arte e nella vita: il duo The Gluo Experience. Ve lo consiglio!
http://youtu.be/KcsGaxVySME

Hai anche qualche nuovo romanzo chiuso nella tua “botola”? Vuoi anticiparci qualcosa?

“A proposito di Dafne” è autoconclusivo, e affronta principalmente il tema di cosa succede all’interno di un amore malato. Sul finale lascia una speranza e delle indicazioni sulla possibile soluzione, in primis l’incontro di Bob con la psicoterapia strategica. Ma non entra del vivo della riabilitazione vera e propria. In un romanzo di esordio mi sembrava esagerato e rischioso proporre anche tutto il percorso di uscita dal problema, perché un’opera di 500 pagine di un nome sconosciuto spaventa. Quindi, dopo aver lanciato il primo sassolino e aver visto che i lettori desiderano capire meglio se e come Bob possa affrontare il suo problema, ho riservato questa parte del tema a un sequel, che ho finito qualche mesa fa e al momento sto proponendo alle case editrici. Amando molto la parte fiction di un romance, l’aspetto psicologico verrà affrontato all’interno di nuove vicende, colpi di scena e nuove situazioni che spero possano intrattenere. Tra l’altro una terapeuta di fama internazionale del CTS di Arezzo, con mia immensa soddisfazione, si è offerta di leggere alcune parti di questo sequel, per fornirmi un contributo ed eventuali consigli tecnici. Un valore aggiunto al mio inedito davvero notevole. Spero anche di riuscire a coinvolgerla in qualche futura presentazione, per parlare della mia storia con una figura esperta che possa aiutarmi a spiegare le dinamiche di una coppia come quella di Bob e Dafne. E’ molto semplice nel nostro paese parlare del problema. Ma forse si parla un po’ meno di soluzioni. Quindi spero nella pubblicazione del sequel per poter realizzare questo progetto in modo più completo.

Grazie Monia e scusami per le “lunghe” domande ma credo che le tue risposte potranno essere di grande interesse per tutti.


Ma figurati! Ho apprezzato le ricerche che hai fatto su di me e su quello che faccio, e il fatto di aver parlato di ciò che sono e faccio a tutto tondo. Complimenti davvero per il tuo lavoro Irene. Un saluto a tutti!


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*(La biografia è stata fornita dall'autore)
*INTERVISTA A CURA DI IRENE PAMPANIN E DESTINATA IN VIA ESCLUSIVA ALLA RUBRICA TACUìN. E' VIETATA OGNI RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE, DELLA STESSA.


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