IL VOSTRO SPAZIO
NEL MIO BLOG
rubrica letteraria e culturale, dal 19 marzo 2014
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Oggi la rubrica Tacuìn vuole presentarvi Monia Colianni, autrice del romanzo A PROPOSITO DI DAFNE (0111 Edizoni) e di un blog intitolato UN BLOG STRO**O SENZA UN PERCHE' . Credo troverete questa intervista molto interessante e attuale, specie per i temi che porta alla luce Monia, una "moderna Alice" che dice:
"Faccio finta di essere certa che la vita sia una. E se davvero è una, non ho certo tempo di vivere tappe decise dagli altri".
"Faccio finta di essere certa che la vita sia una. E se davvero è una, non ho certo tempo di vivere tappe decise dagli altri".
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Nasce a Enna il 26 agosto 1980. Si trasferisce nella provincia di Varese nel 1987 dove attualmente vive. Frequenta il Liceo Scientifico. Giunta al diploma, è ormai
consapevole che il suo futuro non avrà a che fare con i numeri. Già in adolescenza, inizia a comporre
canzoni, che negli anni successivi proporrà nella sua zona con una band. Si laurea in Scienze dell'Educazione a Milano conciliando studio e lavoro.
Frequenta la Scuola Manageriale e di Comunicazione Strategica di Giorgio
Nardone, venendo così in contatto con il mondo della comunicazione e della terapia strategica. Nel
frattempo, la scrittura creativa resta una costante del suo tempo libero. Nel 2011, sentendo che la
scrittura è ormai una vocazione troppo forte, inizia corsi di scrittura presso un'associazione culturale di
Varese, dove sperimenta diversi generi letterari. Lo stesso anno, riprende in mano il suo primo romanzo,
iniziato qualche tempo prima, e lo ultima. Al suo interno, Monia racconta l’amore, attraverso le sue
grandi passioni sviluppate negli anni: l’arte e la psicologia. Nel gennaio 2012 lo invia alla redazione
della 0111Edizioni. Sei
mesi dopo, la 0111 le comunica una proposta editoriale. Il 21 settembre “A proposito di Dafne” viene
pubblicato in versione cartacea e il 28 ottobre presentato ufficialmente presso laFeltrinelli di Varese. Attualmente Monia ha ultimato il secondo romanzo e sta vagliando alcune possibilità di
pubblicazione. Cura inoltre un blog letterario*.
SEGUILA SU:
Ciao
Monia, è un piacere averti ospite nel mio blog! Devo dire che sei un’autrice
che mi ha colpita molto, specie per il tuo essere “come vuoi tu”, senza paura
di dire le cose come stanno e andando contro ogni rischio di “standardizzazione”.
Riuscire a tenersi stretta la propria personalità, specie quando si scrive,
credo sia importantissimo. Tu che ne pensi?
Ciao Irene, grazie mille, il piacere è
mio! Sì, non è facile rimanere schietti e senza peli sulla lingua quando inizi
a esporti con quello che fai, e quindi pubblicamente. Questo può piacere, ma alle
volte risulti scomodo. Sono fatta così, e anche scrivendo mi tengo stretta la
personalità, perché gli “stampini” non mi sono mai piaciuti. Se devo scrivere o
sostenere un pensiero solo per accontentare il pensiero della massa, piuttosto
non dico e non scrivo nulla.
PARLANDO DEL BLOG
Ti
ho posto questa come prima domanda per introdurre “A proposito di … Monia
Colianni - Un blog stro**o senza un perché”, ovvero il tuo blog. Quando si
scrive un post si rischia spesso di scrivere quello che a un lettore piacerebbe
leggere e non quello in realtà pensiamo. Tu non lo fai: scrivi quello che pensi,
a volte anche il modo tagliente. Ho molto apprezzato questo tuo modo di
scrivere. Lo hai scelto specificatamente per il blog? O è lo stesso modo di
scrivere che utilizzi poi anche per le tue storie?
Sì, come ti dicevo scrivo quello che
penso, esattamente come lo penso. Scrivere ciò che la gente si aspetta è
facile, e spesso assicura seguito. Io ho un blog senza pretese, non voglio
insegnare nulla e preferisco solo strappare qualche risata esponendo la mia
critica alla società, soprattutto la web-società. Quella del blog è di certo
una scrittura più schietta e mirata, così come quella di alcuni corti narrativi
che ho scritto. Nel romanzo di esordio i toni sono altri, perché racconto
vicende drammatiche. Nonostante tutto, qua e là i miei personaggi lanciano
frecciate, punti di vista e critiche sociali a nome mio!
Rimaniamo
sul blog. Domanda scontata: quando lo hai creato e con quale obiettivo? Lo so
che già il titolo spiega che non c’è un perché … Ma allora mi chiedo se non sia
stato frutto dello schizzo di un momento… ;)
Il “senza perché” del mio blog è riferito
più che altro al suo essere “stro**o”. Nel senso che non ho un tema portante,
ma parlo di tutto. La costante è l’ironia tagliente con cui affronto le varie
tematiche. Il nome del blog è un po’ la mia presa in giro del concetto che si
diceva prima: se dici ciò che pensi, spesso passi per stro**o. Quindi me lo
dico da sola già nel titolo, così tolgo l’incombenza ad eventuali moralizzatori.
Non volevo creare il classico, grigissimo blog letterario autocelebrativo solo
perché ho pubblicato un romanzo. Al suo interno le info e le pagine dedicate al
libro ci sono, ma nei post mi piaceva l’idea di raccontare ciò che penso in
modo leggero. In sostanza lo scopo è un po’ questo: siamo nella cacca, ma
ridiamoci su.
I
tuoi post trattano temi diversi ma sempre attuali. In particolare mi sono
piaciuti quelli dedicati ai social, “Social…Mente Matti”. Ironici, sarcastici, divertenti,
semplici da leggere ma che nascondono, secondo me (che non sono un’esperta del
settore), una perfetta descrizione psicologica dell’utente-dipendete da
Facebook. Tu la chiami “compulsione fatale”. Parlacene un po’ …
Sì, “Social…mente…matti” è un mini saggio
abbastanza comico e tagliente, scritto l’anno scorso, che sto inserendo a
puntate nel blog. Mi piace molto trattare ciò che avviene nel web. E hai
assolutamente ragione: fa ridere, ma nasconde grandi verità. Io che in qualche
modo ho sempre avuto a che fare con la passione per la psicologia, trovo il web
un campo di ricerca incredibile, e spesso imbarazzante. Passo abbastanza tempo
su internet, e osservo. Quello di cui parlo nello specifico in quei post, è la
trasformazione che avviene alle persone quando vestono i panni del loro
account. Alcuni vengono colti da “compulsioni fatali” che descrivo in modo farsesco
ma che, ahimè, corrispondono al vero: piazzare la qualunque foto di qualunque
momento, comunicare ogni spostamento, condividere vignette o mettere “like” come se non ci fosse un domani. In
alcuni casi ho esasperato e scherzato, ma il dover socializzare ogni cosa sta
diventando un vero problema. Una sorta di dipendenza: “lo faccio, e allora devo
mostrarlo per forza a tutti”. Non c’è più il segreto di un momento con la
propria famiglia, l’intimità. Si socializza ogni cosa. Tutto regalato a tutti.
Non è una svendita di vita privata, è un vero e proprio “fuori tutto”! Poi mi
sono concentrata particolarmente sui web-moralizzatori, che diventano
compulsivi nel dover dire agli altri cosa è giusto… più fastidiosi di una
ragnatela in faccia.
Sulla
destra del blog spicca il logo contro l’editoria a pagamento. Spesso un autore
alle primissime armi o chi non è del mestiere, non sa bene la differenza tra
una vera Casa Editrice e un’editrice a pagamento (e ci casca!). E’ un concetto
che nel tuo blog esprimi molto bene. Vuoi riportarlo anche qui in questa
intervista e ribadire i motivi per i quali credi sia giusto dire “no”
all’editoria a pagamento?
L’editoria è un mestiere, ma oggi lo fa
chiunque. Nello scegliere a chi inviare, o comunque prima di firmare contratti,
suggerisco di prestare la massima attenzione alle richieste: se chiedono
contributi in soldi o in copie, non abbiamo a che fare con un vero editore. Il
tutto è legale, per carità. Ma a mio avviso il vero editore è colui che si
assume il rischio di pubblicarti perché crede nel tuo potenziale. Alle prime
pubblicazioni e dalle piccole case free, non possiamo certo pretendere
percentuali da capogiro, e che nessuno si illuda che questa passione possa
diventare facilmente un lavoro. Ma in realtà se è una passione, questo non
dovrebbe nemmeno preoccuparci. Dovrebbe interessarci il fatto di farsi
conoscere, con qualcuno che crede e investe sul progetto. Certo, se arriva il centesimo
rifiuto dalle case free, forse è meglio rileggersi con occhio critico o trovare
un editor spassionato ed esperto. Magari non è un’opera con potenziale come credevamo.
A prescindere da ciò che uno scrittore crede di se stesso, meglio investire in self
publishing, che pagare un editore.
*
Nel
2012, per il tuo primo romanzo “A proposito di Dafne”, hai scelto quindi una
Casa Editrice non a pagamento, la 0111 Edizioni. Ci racconti come è stata la
tua esperienza con loro? Ti sei trovata bene?
La 0111 mi è stata suggerita da una
ragazza che conosco. Io non cercavo pubblicazione in quel momento, quindi ho
tenuto il nominativo da parte per un po’. Poi un paio di persone della famiglia
hanno letto il mio romanzo, spronandomi a provare. Unico tentativo, fatto in
modo parecchio disilluso. Invece, forse, era destino che la storia di Dafne
uscisse, perché è stato subito sì.
Per giudicare oggi una casa editrice che lavora con emergenti, credo sia molto
importante la distribuzione. E direi che non posso proprio lamentarmi, le copie
richieste sono sempre arrivate, e lo si trova in tutti i principali store di settore, sia in cartaceo che
ebook. Inoltre, essendo vicina alla sede 0111, ho avuto la fortuna di un
contatto diretto con l’editrice, che spesso ha presenziato i miei eventi e
seguito il mio lavoro di promozione.
Inoltriamoci
dunque nel mondo della scrittura. Come ti sei avvicinata ad esso? Come è
iniziata la tua voglia di raccontare storie? Hai frequentato anche il "Centro
di Terapia Strategica" di Giorgio Nardone, una scuola che, dici, ti ha
cambiato il punto di vista. In che senso?
Ne ho sempre raccontate di storie! Da
piccola attraverso il gioco. In adolescenza con i temi a scuola e facendo musica.
Oggi con la narrativa. Dopo la laurea, quando il tempo a disposizione è
aumentato, ho iniziato a collezionare soggetti e corti. Poi nel 2011 ho fatto
un corso di scrittura per iniziare ad avere correzioni e pareri. E da lì ho
concretizzato l’idea di una storia più lunga. A livello didattico, dopo la
laurea ho conosciuto la scuola che dicevi, il CTS di Arezzo, fondato nel 1987 da
Giorgio Nardone e Paul Watzlawick. È un Istituto di Ricerca, Formazione e
Attività Clinica, con centri affiliati in tutto il mondo. Il loro scopo, con migliaia
di casi trattati e risolti, è di bloccare molte tra le psicopatologie più diffuse
attraverso la comunicazione e particolari protocolli terapeutici. Il punto di
vista mi è cambiato perché frequentando la loro scuola ho capito che molte
trappole mentali ce le costruiamo da soli. E’ questione di capire cosa fa la
persona per alimentare inconsapevolmente il proprio problema, e poi bloccarne
il meccanismo. Anche senza entrare nello specifico delle cure mentali, il loro
modello di comunicazione strategica migliora la vita di tutti i giorni in modo
concreto.
Veniamo
dunque al tuo romanzo “A proposito di Dafne”. E’ stato inserito nel genere
Romance – Young Adults. Perché secondo te? E’ una storia sentimentale e
psicologica. Su quali elementi ti sei basata per costruirla e raccontarla? Come
sei riuscita a descrivere così bene la psiche “malata” dei due protagonisti,
Dafne e Bob?
Oggi, credo che la classificazione “young
adults” sia riduttiva. E me ne sono accorta dopo i riscontri. I miei lettori, e
soprattutto i più appassionati, sono nella fascia 45/55. Se l’hanno comprato i
figli, i pareri più sentiti mi sono tornati da genitori, suoceri o zii. Comunque
è un libro per tutti, anche per la varietà dei temi trattati. Per costruire la
storia i miei studi sono stati fondamentali. All’università ho approfondito
molto la rieducazione e le devianze, al CTS ho studiato il modello di terapia e
comunicazione di cui ti parlavo. È così che ho potuto sviluppare il tema e la
psiche malata dei protagonisti in modo più veritiero possibile.
L’ho
definita psiche “malata” perché entrambi i protagonisti sono complici di un
circolo vizioso dal quale è difficile uscire: Bob picchia Dafne e lei lo
perdona sempre (in nome dell’amore?). Il tema della violenza tra le mura
domestiche è protagonista ed evidenzia come spesso una donna abbia paura di
denunciare le violenze subite e continui a sperare in un cambiamento. Direi che
è un tema (purtroppo) sempre più attuale.
Credi che il tuo libro possa far riflettere su questo? La violenza può,
come nel caso di Dafne, essere confusa con l’amore e dunque trovare una
giustificazione?
Sì, la mia è una storia di violenza
domestica, quindi violenza subita da una persona con cui esiste un legame
privato e affettivo. Ho raccontato cosa succede all’interno di un amore che da
sano si trasforma in malato, dove la vittima cerca di aiutare con i propri
mezzi il carnefice, al punto di scusarsi e colpevolizzarsi. Ma così facendo,
entra e alimenta un circuito malato che in troppe storie reali degenera fino al
raptus finale, o che porta comunque ad anni e anni di soprusi. Il tema è
attualissimo, con dati raccapriccianti e misure ancora troppo assenti, sia come
tutela della donna che come recupero o persecuzione dell’uomo. Spesso sento
dire: “ma perché non lo molla?” Oppure “ma se ti picchia come fai a restarci?”
Facile, quando si parla di altri e non si sa nulla della psiche umana e delle
relazioni. Beh, a quelle persone do una brutta notizia: non è così semplice
uscire da queste spirali. Spesso in questo tipo di amori malati non si ha la
forza di denunciare e fuggire perché anche la vittima è “malata d’amore”, e non
vuole tradire il proprio uomo. Oppure perché la vittima ha paura di una
vendetta (come biasimarla, viste le statistiche e l’incertezza della pena). E
allora il mio messaggio contenuto nel romanzo è: piuttosto che subire violenze,
che non sono mai giustificate e giustificabili, un’altra strada può essere
quella di rivolgersi a centri specializzati, ad esperti in psicopatologie che
possano aiutare ad agganciare l’uomo e convincerlo a un consulto. Se lo amiamo,
è così che possiamo tentare di salvarlo, e non subendo le sue violenze. Nella
mia storia ho costruito un personaggio tale, Bob, che mi aiutasse a portare
avanti questo messaggio: non tutte le persone con disturbi comportamentali sono
irrecuperabili. Nel suo caso la patologia e la mancata gestione della rabbia
non sono dovute a psicosi, ma a eventi traumatici che hanno costruito pian
piano una patologia. E così come una patologia del suo tipo si costruisce, con
la terapia strategica si può distruggere. Lo davo per scontato, ma vista una recente
reazione sul web, mi tocca precisare che il mio messaggio non è a favore del
perdono incondizionato e della falsa speranza. “A proposito di Dafne” resta una
storia, e non una generalizzazione a tutti i casi. Io sostengo che laddove sia
possibile una cura, questo andrebbe fatto o almeno tentato, soprattutto per non
esporre la vittima a rischi peggiori. E se una riabilitazione è possibile, solo
un esperto può dircelo.
In
“A proposito di Dafne” si parla però anche di arte. Che posto occupa l’arte
nella tua vita? Ti senti, da questo punto di vista, un po’ come Dafne che fa di
tutto per vivere a pieno le sue passioni artistiche?
Dafne ha una strada, la pittura, e per
lei è tutto estremamente legato a quello. E’ eccentrica, creativa ma sempre nel
suo ambito. Quando prova a fare altro si perde e non è a suo agio. E fa di
tutto affinché l’arte diventi un mestiere. Io sento il bisogno di fare quello
che mi fa star bene, ma al contrario di lei non mi sono mai incaponita molto per
farlo diventare un vero e proprio lavoro. Mi mantengo facendo tutt’altro, che
nulla ha a che vedere con la scrittura, la musica, e le mie passioni in ambito creativo.
Vivere di scrittura in Italia è una di quelle cose che mi richiederebbe
talmente tante energie e “sbattimento” da consumarmi la passione. E io non
voglio. Lo vedo fare a tanti esordienti troppo convinti e accaniti. Ai primi
scritti cercano i guadagni con affanno, concentrandosi più su quello che sulla
scrittura in sé. Io mi gusto i miei lettori e i miei piccoli risultati, che è
già un traguardo superlativo.
Come
è stato accolto il tuo romanzo dal pubblico? La promozione come è andata?
Il romanzo è stato accolto davvero bene,
parlando di pareri. E da buona cinica, so scremare quelli autentici da quelli
di facciata. Chi l’ha comprato, spesso l’ha passato a familiari. In una prima
fase hanno letto le persone che conosco nella vita e con cui lavoro. Sono rimasta
sorpresa dal fatto che quelli che hanno motivato in modo più esaustivo
l’apprezzamento fossero uomini. Considerato che alla base c’è una storia
d’amore, non ci speravo. Ma l’aspetto psicologico ha smosso la curiosità e
coinvolto. E da quello che mi dicono, il mio stile “cinematografico” è riuscito
ad agganciare anche i lettori più pigri. Molto interesse, sia in positivo che
in negativo, c’è stato sul finale. Ed è bello che la gente si interroghi, lo
apprezzi o mostri scetticismo. Vuol dire che la storia crea riflessione.
La promozione è partita da Feltrinelli, poi
ci sono stati diversi eventi. Ora è molto attiva online, dove nelle ultime
settimane è partito un inaspettato passaparola tra persone che non conoscevo e
che stanno leggendo il libro. Cerco di parlare molto con loro, attraverso un
gruppo di blogger che mi sostiene. Uscire dalla rete di conoscenti per un
esordiente è difficile. Ma quando inizia a realizzarsi, è una vera
soddisfazione. Dopo un momento dedicato alla sola scrittura, riprenderò a breve
con gli eventi. C’è già qualcosa nell’aria.
Abbiamo
parlato del tuo blog e del tuo romanzo ma so che ti stai muovendo anche in
altri campi artistici, come la musica e il cinema. Sono degli hobby collaterali
o hai dei progetti in corso?
La musica è una costante della mia vita. La
ascolto facendo tutto, e senza non potrei stare. Suono e compongo con la mia
chitarra appena posso, ma questo lo faccio solo per me. Anni fa avevo una band,
ora non avrei testa di cercare divulgazione anche in quel campo. Altrimenti si
rischia di fare troppe cose, e male. Non mi dispiacerebbe l’idea di proporre pezzi
come autrice, cercando qualcuno che possa arrangiarli e suonarli. Col cinema è uguale:
per passione ho studiato da autodidatta la scrittura cinematografica, realizzando
alcune di sceneggiature per corti che tengo lì in un angolo. Ho preparato anche
il soggetto per la trasposizione del mio romanzo, che in un paio di occasioni
abbiamo provato a proporre, con un amico del settore. Ma sono tutti dei “di
più”. Se arrivano bene, se non arrivano non mi tolgono certo il sonno. L’importante
è non perdere la passione di fare, anche solo per se stessi. A proposito di
arte, è stato molto bello partecipare e collaborare alla scrittura e alle
riprese del booktrailer di “A proposito di Dafne”. E’ stato tutto creato
apposta, musica compresa. Uno spot particolare, realizzato con due persone
eccezionali, in arte e nella vita: il duo The Gluo Experience. Ve lo consiglio!
http://youtu.be/KcsGaxVySME
Hai
anche qualche nuovo romanzo chiuso nella tua “botola”? Vuoi anticiparci
qualcosa?
“A proposito di Dafne” è autoconclusivo, e
affronta principalmente il tema di cosa succede all’interno di un amore malato.
Sul finale lascia una speranza e delle indicazioni sulla possibile soluzione,
in primis l’incontro di Bob con la psicoterapia strategica. Ma non entra del
vivo della riabilitazione vera e propria. In un romanzo di esordio mi sembrava
esagerato e rischioso proporre anche tutto il percorso di uscita dal problema,
perché un’opera di 500 pagine di un nome sconosciuto spaventa. Quindi, dopo
aver lanciato il primo sassolino e aver visto che i lettori desiderano capire
meglio se e come Bob possa affrontare il suo problema, ho riservato questa
parte del tema a un sequel, che ho finito qualche mesa fa e al momento sto proponendo
alle case editrici. Amando molto la parte fiction di un romance, l’aspetto
psicologico verrà affrontato all’interno di nuove vicende, colpi di scena e
nuove situazioni che spero possano intrattenere. Tra l’altro una terapeuta di
fama internazionale del CTS di Arezzo, con mia immensa soddisfazione, si è
offerta di leggere alcune parti di questo sequel, per fornirmi un contributo ed
eventuali consigli tecnici. Un valore aggiunto al mio inedito davvero notevole.
Spero anche di riuscire a coinvolgerla in qualche futura presentazione, per
parlare della mia storia con una figura esperta che possa aiutarmi a spiegare
le dinamiche di una coppia come quella di Bob e Dafne. E’ molto semplice nel
nostro paese parlare del problema. Ma forse si parla un po’ meno di soluzioni.
Quindi spero nella pubblicazione del sequel per poter realizzare questo
progetto in modo più completo.
Grazie
Monia e scusami per le “lunghe” domande ma credo che le tue risposte potranno
essere di grande interesse per tutti.
Ma figurati! Ho apprezzato le ricerche
che hai fatto su di me e su quello che faccio, e il fatto di aver parlato di
ciò che sono e faccio a tutto tondo. Complimenti davvero per il tuo lavoro
Irene. Un saluto a tutti!
*(La biografia è stata fornita dall'autore)
*INTERVISTA A CURA DI IRENE PAMPANIN E DESTINATA IN VIA ESCLUSIVA ALLA RUBRICA TACUìN. E' VIETATA OGNI RIPRODUZIONE, ANCHE PARZIALE, DELLA STESSA.
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