tratto dal libro
... Guardando le stelle, cercando di non perdersi ...
LO SGUARDO CELESTE
La porta era aperta. Guardai all’interno della stanza.
Ai miei occhi di
bambina tutto appariva enorme. L’armadio sembrava un vecchio gigante addormentato
e il letto quasi pareva voler uscire oltre le pareti. Le coperte erano caldi
ammassi di lana colorata e la finestra lasciava entrare tutta la luce delle
montagne.
LEI era lì, sdraiata con la schiena appoggiata sul cuscino
e le braccia incrociate sull’orlo delle lenzuola. Sapevo che non poteva muoversi
ma nessuno mi aveva mai spiegato il perché. Mi avvicinai ancora di più
all’ingresso della grande camera.
Qualcuno parlava ai piedi del suo letto. LEI ascoltava con gli occhi fissi su di
loro, eppure il suo sguardo celeste pareva non vedere nulla …
Lo ricordo ancora quel tardo pomeriggio. La mamma aveva
il grembiule rosso, mio fratello giocava accanto a me sulla panca. Le tende
impedivano all’inverno di entrare oltre i vetri trasparenti … Sul fuoco c’era
il profumo del sugo che cuoceva e un dolce calore mi avvolgeva mentre disegnavo
scarabocchi con un pennarello rosa. Un improvviso rumore di passi destò la mia
attenzione. Le case di montagna sono così, sulle scale di legno rimbalza ogni
rumore. Mi fiondai alla porta della cucina, curiosa di sapere chi era.
Cominciai a saltare per raggiungere la maniglia, troppo alta per me. Quando
finalmente la porta si aprì, il mio viso si accese in un sorriso. LEI stava salendo, gradino per gradino,
con un giocattolo tra le mani, lentamente, appoggiandosi al corrimano per
aiutarsi …
«Quanto ti voleva
bene a te», mi disse la mamma, « alcune volte prendeva i tuoi giocattoli di
nascosto e li portava a casa sua. Così aveva la scusa per tornare da te a
restituirteli».
«Ti ha cresciuta LEI», aggiunse “la Piera”, «non mangiavi
niente. Dovevamo fare il giro della casa per darti un tortellino! E’ riuscita a
tirarti su con il formaggio, solo quello volevi. Era così buona quella donna…».
Era quasi mezzogiorno. Sapevo che la porta del piano di
sotto per me era sempre aperta. Entrai piano, sbirciando con timidezza. Dalla
cima delle scale la voce della mamma mi fece sobbalzare.
«Irene! », mi riproverò, « non andare a
“smangiucchiare” adesso che poi non pranzi più». «Sì» risposi con aria
innocente sperando di apparire abbastanza convincente.
Nel frattempo aprii di più la porta, il nonno era
seduto sulla panca e mi fece cenno di entrare.
LEI stava scolando la pasta. Credevo mettesse qualcosa di
magico nel sugo per renderlo così buono e profumato. Così ogni volta che era
ora di mangiare, andavo nella loro cucina per respirare quell’odore … Mentre
ero accanto alla sedia più alta di me, LEI
mi si avvicinò. Aveva in mano un piatto pieno di quella pastasciutta
magica. Con dolcezza si inginocchiò davanti a me porgendomi il piatto.
«Tieni, mangia un po’…» mi disse con gentilezza.
Io non vedevo l’ora di assaggiare quella pasta speciale
…
«La nonna metteva
sempre la ricotta affumicata sopra la pastasciutta» mi disse un giorno il papà.
“Ecco cosa dava quel sapore magico e diverso” pensai tra me e me.
Finalmente era l’ora di partire per il mare. Era tutto
pronto, il mio zainetto con i giocattoli, le bambole e i fogli per disegnare.
Ero quasi schiacciata sul sedile posteriore della macchina a causa delle
valigie ma almeno potevo tenere il viso incollato al finestrino, pronta a
scorgere il mare appena sarebbe spuntato. Il papà mise in moto la macchina. I
nonni stavano sulle scale pronti a salutarci, uno accanto all’altro. Quando la
mamma salì in macchina per ultima, io cominciai a
salutare forte con la mia piccola manina. L’auto
partì piano e man mano che ci allontanavamo i loro occhi si riempivano di
commozione. LEI tirò fuori un fazzoletto bianco e si asciugò
lo sguardo celeste …
Forse sapeva che sarebbero stati più di 15 giorni a
tenerci lontani …
«Sei uguale a lei»,
mi dicevano tutti, «Stessi occhi celesti, stesse espressioni. Sai, la
chiamavano popa¹ perché aveva il viso da bambolina e tutti le
facevano la corte». «E anche tu “sempre con sto caffè”, come tua nonna!» aggiunse
il papà.
Saltavo allegra sul marciapiede tornando verso casa. “La
Piera” mi teneva per mano mentre mangiavo un cono gelato che mi si stava
sciogliendo addosso per il caldo, nonostante fosse sera. Mio fratello era poco
più dietro di noi e la mamma si era allontanata per telefonare al papà. Si
sentiva il profumo del mare e il cielo era sereno come non mai. Finita la
telefonata, per un istante, io e mio fratello restammo soli. Poi “la Piera” tornò da me…
«Sai Irene», mi
disse, «quando tornerai su a casa non la troverai più la tua nonna».
«E perché?»
chiesi io con gli occhi sgranati.
«E’ andata via e non tornerà più»
«Ma dove è andata?»
«E’ andata in cielo, è diventata una stella. Se guardi
bene la vedi … »
Con l’ingenuità che solo una bimba di quattro anni poteva
avere, arrivai a casa e subito andai nella cameretta. Appoggiandomi al
davanzale, guardai verso il cielo … C’erano tante stelle ed ero sicura che in
mezzo a loro c’era anche LEI.
Osservai con attenzione e finalmente vidi comparire una stella luminosissima.
“Eccola è LEI” pensai.
«Ciao NONNA»
sussurrai sottovoce e cominciai a
salutare forte con la mia piccola manina ..
Note
¹Popa: termine dialettale ladino che è sinonimo di
“bambola” “bimba”
Irene P.
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