Vista l'aria di neve,
questa sera vi propongo questo racconto,
tratto dal libro "Rifugio Settimo Cielo"
IL RUMORE DELLA MONTAGNA
È mattina. Lo so, perché la sveglia
si è messa a suonare. Sotto il piumone il calore mi avvolge, non mi voglio
alzare! Solo il mio naso fa capolino dalle coperte. È freddo come la stanza che
mi circonda, ma è dolce il profumo di caffè che comincia a respirare. Allora mi
alzo, accendo la luce, anzi no, la lascio spenta, vado alla finestra
inciampando nelle ciabatte e la apro piano… lo sapevo, sta nevicando. Udivo il
rumore dei fiocchi mentre dormivo o forse semplicemente sentivo l’odore della
neve.
Un batuffolo bianco si posa sui
miei occhi ancora assonnati, lo prendo delicatamente con il dito per vedere la
sua forma, ma già si è sciolto sulla mia mano.
Guardo mio fratello dormire, poi
apro in silenzio la porta ed esco dalla mia stanza. Il corridoio la mattina mi
sembra più bello, è blu e un po’ giallo, sembra essersi risvegliato anche lui
con un raggio del sole.
Il cane mi guarda dalla sua cuccia,
ancora non ha le forze per darmi il buongiorno ma mi guarda, dolce, come a
volermi salutare. Mi segue con lo sguardo finché entro in cucina.
Non c’è nessuno, ma la moca è sul
fuoco. Che bello, qualcuno ha pensato a me.
Il vetro è appannato, dalla stufa
accesa si sente un leggero filo di calore. Mi avvicino, metto le mani su quel
filo e comincio a tessere con la fantasia un pianoforte. Muovo le dita, pian
piano prendono calore. Sento la musica. È il suono del caffè che mi chiama, del
cane che si alza e sbadiglia teneramente, del papà che appoggia la legna da
ardere nella cassapanca, dello spazzaneve che passa sulla strada.
Intorno a me comincia la vita. E io
penso che cosa devo fare durante questa giornata. Prendo la tazzina verde con
gli occhi, il naso e la bocca dipinti, la riempio e ci metto sbadatamente lo
zucchero, che, come sempre, va a finire sul tavolo.
Penso a cosa devo fare nelle
prossime ore: andare a scuola, preparare la cartella, l’interrogazione, finire
quel disegno… no, basta!
Adesso è il mio momento. Mi appoggio
sul davanzale. Guardo fuori. Il calore del caffè appanna ancor di più il vetro.
Nevica più forte. Sotto i lampioni vedo i fiocchi scendere. Sono arancioni,
ballano e suonano… devono essere gli angeli che suonano il rumore delle
montagne. Non mi stupirebbe se ora da sotto quella neve uscisse il Cielo in
persona a cantare qualcosa di simile allo scontro tra due soffici nuvole
bianche.
Son già le sei e mezza, mi devo
sbrigare. Mi vesto velocemente, risciacquo il viso con l’acqua fredda, saluto
la mamma che nel frattempo si è svegliata, accarezzo la testolina morbida del
mio cane ed esco di corsa.
Il maglione mi accarezza il mento.
Metto la giacca, i guanti e il berretto. Lo zaino è pesante, ma non fa niente,
la strada non è molta.
Apro la porta. Sono fuori.
Incredibile. L’alba è riuscita a
essere più veloce di me. La mia guancia sinistra sente già il calore del sole,
i miei occhi vedono una striscia di rosa nel cielo e l’ultima stella
scomparire.
Comincio a scendere le scale
frettolosamente, ma mi fermo di colpo. Qualcuno mi chiama. Non dice il mio
nome, ma sta chiamando me. Io lo sento…
È forte, è bella, è sempre stata
lì. Mi giro e mi fermo in quell’attimo di infinità. Così semplice, così pura,
la montagna mi saluta con il rumore del vento quando si scontra con la mia
pelle. Io respiro l’eterno e come d’incanto sto bene. Io ora ho un po’ del suo
eterno nell’anima e lei un po’ del mio cuore tra la sua roccia.
Rivedo quello che ha visto lei:
rivedo mio nonno che piangeva quando partivamo per il mare, che accarezzava il
gatto arancione seduto sulla panca, che mi dava da mangiare di nascosto, che
non mi riconosceva più quando era la fine. Rivedo la nonna che saliva le scale
a fatica pur di giocare con me, che mi ha regalato il colore dei suoi occhi, la
nonna che mi dicevano fosse diventata una stella.
Rivedo i riccioli biondi di mio
fratello, la bicicletta azzurra con le rotelle, la mamma che ci tirava le
ciabatte quando non stavamo buoni! La torta di compleanno con le candeline
rosa, il papà con la divisa da vigile e che, anche se avevo sei anni, l’otto di
marzo mi portava la mimosa.
Mio nonno che sedeva sempre
capotavola e la nonna che cercava di farmi pronunciare bene la parola
“capriolo”.
In un momento rivedo nella montagna
i ricordi che solo lei che tutto vede e tutto ricorda poteva farmi tornare alla
mente.
Tolgo il berretto, sorrido. Un po’
la mia anima è commossa, ma ride. Nelle vene mi scorre l’infinito, ora io sono
di più.
Non sento più il peso dello zaino,
i fiocchi tra i capelli diventano dolci carezze. Scendo le scale, prendo in
braccio il gattino bianco e nero che sonnecchia sulla panca, gli do un bacino
sul suo tenero musetto e saltellando mi avvio per la strada bianca scivolando
qua e là. Vado... vado a scuola, vado avanti, vado più sicura. Lei rimane alle mie
spalle, sempre viva, a respirare, a fare del suo respiro la linfa della mia
vita.
Irene Pampanin
Il rumore della montagna diIrene Pampanin è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.
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